
La Serbia avrà un presidente dalla seguente biografia: guardiano di cimiteri; manager di Stato; fondatore del partito radicale ultranazionalista; accusato (ma si è difeso con successo e dunque mai condannato) per la pulizia etnica di Antin in Croazia nel 1991; proclamato "vojvoda", duce, dei cetnici da quel Vojislav Seselj sotto processo all'Aia; vice primo ministro dell'ultima era Milosevic durante la guerra della Nato; sostenitore di una Federazione tra Russia, Bielorussia e Serbia, una sorta di super Stato ortodosso per contrastare l'egemonia della Ue e degli Stati Uniti. Si chiama Tomìslav Nikolic, ha 60 anni ed è di Kragujevac. la città della fabbrica della Fiat. Al ballottaggio di domenica scorsa ha battuto il capo dello Stato uscente Boris Tadic, l'uomo della svolta liberale. Adesso Nikolic guida il partito Progressista, da lui creato, e si è spostato su posizioni meno estremiste, almeno a parole. Appena eletto ha cercato di rassicurare: «La Serbia non devierà dal suo percorso europeo». II Paese è candidato all'ingresso nella Ue. A Belgrado i sostenitori, in gran parte ultranazionalisti, hanno festeggiato lanciando bottiglie incendiarie contro il palazzo del suo rivale Tadic. Poi hanno fatto cortei in centro mostrando il saluto cetnico delle tre dita alzate. Il passato che non passa mai.
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