
«Oggi è il suo compleanno. Niente domande, per favore, sulle misure che il Consiglio della Bce intende adottare giovedì prossimo»: Sharon Bowles, presidente della commissione Affari economici e monetari, ha voluto fare questo "regalo" a Mario Draghi, approdato ieri a Bruxelles per la consueta audizione mensile all'Europarlamento, eccezionalmente a porte chiuse. Ci è riuscita solo a metà.
A 48 ore dalle attesissime decisioni di Francoforte, la tensione Nord-Sud si taglia con il coltello tra i 17 dell'euro, con la Bce nel collimatore. E il suo presidente che sceglie di ribadire con forza la linea già espressa il 2 agosto scorso. In breve, no al finanziamento monetario degli Stati membri ma sì all'acquisto sul mercato secondario di bond a maturità ridotta (fino a tre anni) dei Paesi in difficoltà, perché sono titoli dalla vita troppo breve per poter essere equiparati alla "creazione di moneta". E comunque previa stretta condizionalità, se e quando gli interessati ne faranno esplicita richiesta.
Nonostante raccolga il consenso della larga maggioranza del Consiglio della Bce e il placet di Angela Merkel, la linea Draghi, si sa, non piace affatto alla Bundesbank, l'azionista di maggioranza. E nemmeno alla truppa della Cdu-Csu che sostiene il cancelliere e che ieri a Bruxelles ha alzato la voce per contestarla forte e chiaro, anche se subito rintuzzata con altrettanto vigore dall'ex governatore della Banca d'Italia: «Non sono un avvocato ma secondo il parere dei giuristi la nostra interpretazione è in sintonia con i Trattati Ue».
Non sono stati solo i democristiani tedeschi a fare la fronda ma anche socialisti e verdi, a riprova che la Germania è già in campagna elettorale e che gli umori della sua opinione pubblica restano ostili, allergici a tutti i rischi (veri e presunti) che il salvataggio dell'euro possa comportare.
La doccia gelata comunque ieri non è arrivata tanto da Bruxelles quanto da Berlino. «Dobbiamo stare molto attenti a non alimentare troppe false aspettative che sono una delle ragioni del nervosismo dei mercati», ha avvertito Wolfgang Schäuble. Ribadendo che «la politica monetaria non va utilizzata per finanziare il debito pubblico, quindi ogni mossa del genere va stroncata sul nascere con fermezza». Gioco delle parti tra il cancelliere e il suo ministro delle Finanze? Forse. Ma dopo la quiete d'agosto, il vulcano della crisi torna a fumare minacciando nuove eruzioni. Perché il sentiero in cui la Bce si può muovere è strettissimo. E quello della politica a qualsiasi latitudine europea, da Berlino ad Atene passando per Madrid e Roma, lo è almeno altrettanto.
Lo scudo anti-spread diventa necessario in un mercato europeo frammentato dove la percezione dei rischi, spesso arbitraria, distorce i tassi, con il risultato che i Paesi in ginocchio si ritrovano a finanziare quelli che stanno molto meglio di loro, approfondendo i divari Nord-Sud invece di favorire la convergenza.
Questa logica però stenta a passare in Germania nonostante la buona volontà della Merkel. In Spagna e in Italia d'altra parte incontra più riserve che entusiasmi perché continuano a non essere chiari i paradigmi della condizionalità allegata. Dopodomani Draghi dovrebbe svelarne gli arcani, anche se il fuoco di fila tedesco e la necessità di cercare di non tagliare la corda con la Bundesbank potrebbero alla fine partorire un decalogo di misure troppo indigesto, politicamente e socialmente impercorribile soprattutto in tempi di recessione. Quindi inutile nei fatti e controproducente.
Come riuscire ad evitarlo, superare la crisi e far ripartire l'Europa è il grande dilemma della Bce. E dei Governi che le stanno alle costole con il loro bagaglio di interessi contraddittori e di ambizioni in perenne conflitto.
© 2012 Il Sole 24 Ore. Tutti i diritti riservati