
10/05/10
la Repubblica
«Non ci lasceremo sbranare dai lupi». Quando nel primo pomeriggio di ieri i ministri delle finanze dell’Unione sono arrivati a Bruxelles per il vertice più duro della storia dell’euro, quello della sopravvivenza, la parola d’ordine era una sola: «Battere gli speculatori». E dopo un negoziato di fuoco
sconfinato nella notte è spuntata l’ipotesi di un maxi-fondo Ue da 600 miliardi di euro per salvare i paesi che finiranno sotto attacco dei mercati. Una cifra imponente per convincere gli speculatori a girare alla larga da Eurolandia. Anche se il meccanismo studiato per metterla in campo potrebbe rivelarsi troppo lento per essere efficace contro lo spauracchio che oggi, alla riapertura dei mercati, gli speculatori dopo la Grecia inizino a buttar giù come birilli gli stati più deboli di Eurolandia, Portogallo e Spagna in testa. Una catastrofe.
A ora di pranzo la Commissione europea ha approvato il piano di salvataggio chiestole venerdì dai capi di Stato e di governo della moneta unica. Quindi lo ha consegnato ai ministri dell’Ecofin con l’obbligo di chiudere i negoziati in tempo per affrontare l’apertura notturna delle Borse asiatiche con un messaggio in grado di bloccare gli attacchi all’euro. Il piano di Bruxelles ruotava tutto intorno ad una piccola sigla: «AAA». Ovvero la forza e la credibilità della Commissione Ue e del suo «rating perfetto», il migliore reperibile sul mercato. L’idea era quella di mettere insieme un gigantesco portafoglio per soccorrere gli stati messi in ginocchio dai mercati. Una carta di credito senza limiti di spesa gestita direttamente dal commissario Ue alle Finanze, il finlandese Olli Rehn, alimentata da 60 miliardi già nelle casse di Bruxelles e rimpinguata alla bisogna dalla vendita di titoli sul mercato, un sorta di Eurobond garantito dal bilancio Ue e dei governi. Con un pregio su tutti: l’immediatezza degli interventi decisi direttamente da Bruxelles sarebbe stata l’arma perfetta per convincere gli speculatori a lasciare in pace l’Europa.
Tanto che il progetto è stato definito dai suoi ideatori «completo e ambizioso». Ma la situazione è precipitata prima ancora che i ministri delle finanze iniziassero il vertice. A lanciare il segnale sbagliato nel momento sbagliato sono stati, e non è certo una novità, gli inglesi. Alistair Darling, Cancelliere dello Scacchiere uscente, ha avvisato tutti che Londra pur volendo difendere l’economia del vecchio Continente «non pagherà» una sterlina per salvare l’euro.
Una presa di posizione che ha mandato per aria l’impegno a non far trapelare all’esterno segnali di rottura in seno all’Ecofin per massimizzare l’impatto emotivo dell’annuncio del piano agli occhi dei mercati. Agli inglesi ha risposto la ministra francese Lagarde: «Mai dire mai». E superato lo shock iniziale i ministri si sono messi al lavoro per aggirare l’ostacolo posto da Londra. I sudditi di sua maestà, come tutti i cittadini dei paesi Ue fuori dall’euro, pagheranno solo una parte delle eventuali spese. Tranne i volontari. E subito si sono fatti avanti Svezia e Polonia.
Ma a dimostrare quanto fosse difficile mettere in piedi in un solo weekend il piano di salvataggio più grande della storia ci hanno pensato i tedeschi. Angela Merkel dopo la batosta rimediata proprio ieri nelle elezioni in Nordreno Westfalia ha ripreso a tirare il freno a mano, come aveva fatto per tutta la campagna elettorale facendo precipitare la situazione greca ed europea.
Fiutato l’andazzo dall’altra parte dell’Atlantico il presidente Obama - preoccupato che il crollo della moneta unica possa soffocare anche l’economia Usa - ha chiamato perla terza volta in poche ore la
Cancelliera chiedendole misure «energiche» perraffreddare i mercati. Quindi a squillare è stato il telefono di Sarkozy, con il quale Barack ha concordato la necessità «di un grande accordo» per salvare l’euro. Poco dopo il francese ha chiamato la collega tedesca ottenendo un comunicato congiunto sulla completa sintonia tra Parigi e Berlino. Ma non è bastato a ridare slancio alla riunione dell’Ecofin, nella quale si è anche sfiorato il dramma quando, intorno alle sei pomeriggio, il ministro delle finanze tedesche Wolfgang Schauble si è sentito male ed è stato ricoverato d’urgenza. Quindi è stato rimpiazzato dal ministro degli Interni Thomas De Maziere.
Ma alla ripresa dei lavori mettere insieme il puzzle del piano si è rivelato sempre più difficile. Appoggiata dai falchi di sempre - Austria e Olanda - la Germania si è opposta alla creazione «di un Bancomat illimitato a disposizione degli stati cicala» (il copyright della frase è di un diplomatico anglosassone). Berlino ha insistito sul fatto che chi sarà salvato dovrà accettare una cura da cavallo per rimettere a posto i conti. Una richiesta di fronte alla quale spagnoli e portoghesi si sono ribellati, per paura di vedere le loro economie soffocate dalla stessa medicina ingerita per salvarle. Per non parlare del terrore di rivedere nelle loro città gli stessi scontri di piazza vissuti da Atene. Ma soprattutto i tedeschi hanno chiesto che il ruolo di Bruxelles nell’attivazione dei salvataggi fosse ridimensionato, minando la rapidità di risposta necessaria per fronteggiare gli attacchi. A questo punto l’Ecofin è stato sospeso e si sono riuniti i tecnici per mettere a punto una nuova proposta. E quando è uscita si è capito che era made in Germany. Al ribasso rispetto a quella della Commissione: un pacchetto di 600 miliardi dei quali 60 provenienti da Bruxelles, 440 dagli stati di Eurolandia con prestiti bilaterali e 100 dal Fondo monetario internazionale. Una cifra definita «colossale» per sperare nell’effetto annuncio in grado di bloccare i mercati, ma un meccanismo debole per metterla in campo.
Dall’automatismo del piano iniziale si è tornati alla procedura lunga e complicata adottata per salvare la Grecia e nella quale le bizze di un governo potrebbero minare quella prontezza di risposta fondamentale per scoraggiare i mercati. Inoltre a Madrid e Lisbona sono stati chiesti pesanti sforzi aggiuntivi per accedere al piano: un taglio supplementare dell’1,5% del deficit quest’anno e del 2% nel 2011. E mentre la guerriglia diplomatica continuava a segnare la notte di Bruxelles dove si continuava a
cercare un accordo, da Basilea i governatori delle banche centrali e il presidente della Bce Trichet hanno seguito i negoziati con il fiato sospeso. In ballo il ruolo che la Bce, pur nella sua indipendenza, dovrà assumere per contribuire a salvare l’euro, consapevole che a un certo punto potrebbe essere chiamata ad acquistare i titoli di Stato non più vendibili sul mercato dei governi sotto attacco speculativo. «Possiamo contare sulla Banca centrale europea- ha indicato da Bruxelles il commissario Ue al Mercato interno Michel Barnier - siamo certi che pur nella sua indipendenza farà il necessario».
Intanto le linee telefoniche tra le varie cancellerie europee erano intasate. Berlusconi, Sarkozy, la Merkel e gli altri leader sono rimasti in contatto tra loro e con i rispettivi ministri impegnati a Bruxelles. In serata a Parigi e Berlino i governi si sono riuniti in fretta e furia per esaminare le proposte che piovevano dall’Ecofin, dove lo scontro si è protratto ben oltre il termine delle 11 di sera che si erano dati i ministri. Si vedrà oggi se la lunga battaglia sarà servita a spaventare i lupi e salvare l’euro.
sconfinato nella notte è spuntata l’ipotesi di un maxi-fondo Ue da 600 miliardi di euro per salvare i paesi che finiranno sotto attacco dei mercati. Una cifra imponente per convincere gli speculatori a girare alla larga da Eurolandia. Anche se il meccanismo studiato per metterla in campo potrebbe rivelarsi troppo lento per essere efficace contro lo spauracchio che oggi, alla riapertura dei mercati, gli speculatori dopo la Grecia inizino a buttar giù come birilli gli stati più deboli di Eurolandia, Portogallo e Spagna in testa. Una catastrofe.
A ora di pranzo la Commissione europea ha approvato il piano di salvataggio chiestole venerdì dai capi di Stato e di governo della moneta unica. Quindi lo ha consegnato ai ministri dell’Ecofin con l’obbligo di chiudere i negoziati in tempo per affrontare l’apertura notturna delle Borse asiatiche con un messaggio in grado di bloccare gli attacchi all’euro. Il piano di Bruxelles ruotava tutto intorno ad una piccola sigla: «AAA». Ovvero la forza e la credibilità della Commissione Ue e del suo «rating perfetto», il migliore reperibile sul mercato. L’idea era quella di mettere insieme un gigantesco portafoglio per soccorrere gli stati messi in ginocchio dai mercati. Una carta di credito senza limiti di spesa gestita direttamente dal commissario Ue alle Finanze, il finlandese Olli Rehn, alimentata da 60 miliardi già nelle casse di Bruxelles e rimpinguata alla bisogna dalla vendita di titoli sul mercato, un sorta di Eurobond garantito dal bilancio Ue e dei governi. Con un pregio su tutti: l’immediatezza degli interventi decisi direttamente da Bruxelles sarebbe stata l’arma perfetta per convincere gli speculatori a lasciare in pace l’Europa.
Tanto che il progetto è stato definito dai suoi ideatori «completo e ambizioso». Ma la situazione è precipitata prima ancora che i ministri delle finanze iniziassero il vertice. A lanciare il segnale sbagliato nel momento sbagliato sono stati, e non è certo una novità, gli inglesi. Alistair Darling, Cancelliere dello Scacchiere uscente, ha avvisato tutti che Londra pur volendo difendere l’economia del vecchio Continente «non pagherà» una sterlina per salvare l’euro.
Una presa di posizione che ha mandato per aria l’impegno a non far trapelare all’esterno segnali di rottura in seno all’Ecofin per massimizzare l’impatto emotivo dell’annuncio del piano agli occhi dei mercati. Agli inglesi ha risposto la ministra francese Lagarde: «Mai dire mai». E superato lo shock iniziale i ministri si sono messi al lavoro per aggirare l’ostacolo posto da Londra. I sudditi di sua maestà, come tutti i cittadini dei paesi Ue fuori dall’euro, pagheranno solo una parte delle eventuali spese. Tranne i volontari. E subito si sono fatti avanti Svezia e Polonia.
Ma a dimostrare quanto fosse difficile mettere in piedi in un solo weekend il piano di salvataggio più grande della storia ci hanno pensato i tedeschi. Angela Merkel dopo la batosta rimediata proprio ieri nelle elezioni in Nordreno Westfalia ha ripreso a tirare il freno a mano, come aveva fatto per tutta la campagna elettorale facendo precipitare la situazione greca ed europea.
Fiutato l’andazzo dall’altra parte dell’Atlantico il presidente Obama - preoccupato che il crollo della moneta unica possa soffocare anche l’economia Usa - ha chiamato perla terza volta in poche ore la
Cancelliera chiedendole misure «energiche» perraffreddare i mercati. Quindi a squillare è stato il telefono di Sarkozy, con il quale Barack ha concordato la necessità «di un grande accordo» per salvare l’euro. Poco dopo il francese ha chiamato la collega tedesca ottenendo un comunicato congiunto sulla completa sintonia tra Parigi e Berlino. Ma non è bastato a ridare slancio alla riunione dell’Ecofin, nella quale si è anche sfiorato il dramma quando, intorno alle sei pomeriggio, il ministro delle finanze tedesche Wolfgang Schauble si è sentito male ed è stato ricoverato d’urgenza. Quindi è stato rimpiazzato dal ministro degli Interni Thomas De Maziere.
Ma alla ripresa dei lavori mettere insieme il puzzle del piano si è rivelato sempre più difficile. Appoggiata dai falchi di sempre - Austria e Olanda - la Germania si è opposta alla creazione «di un Bancomat illimitato a disposizione degli stati cicala» (il copyright della frase è di un diplomatico anglosassone). Berlino ha insistito sul fatto che chi sarà salvato dovrà accettare una cura da cavallo per rimettere a posto i conti. Una richiesta di fronte alla quale spagnoli e portoghesi si sono ribellati, per paura di vedere le loro economie soffocate dalla stessa medicina ingerita per salvarle. Per non parlare del terrore di rivedere nelle loro città gli stessi scontri di piazza vissuti da Atene. Ma soprattutto i tedeschi hanno chiesto che il ruolo di Bruxelles nell’attivazione dei salvataggi fosse ridimensionato, minando la rapidità di risposta necessaria per fronteggiare gli attacchi. A questo punto l’Ecofin è stato sospeso e si sono riuniti i tecnici per mettere a punto una nuova proposta. E quando è uscita si è capito che era made in Germany. Al ribasso rispetto a quella della Commissione: un pacchetto di 600 miliardi dei quali 60 provenienti da Bruxelles, 440 dagli stati di Eurolandia con prestiti bilaterali e 100 dal Fondo monetario internazionale. Una cifra definita «colossale» per sperare nell’effetto annuncio in grado di bloccare i mercati, ma un meccanismo debole per metterla in campo.
Dall’automatismo del piano iniziale si è tornati alla procedura lunga e complicata adottata per salvare la Grecia e nella quale le bizze di un governo potrebbero minare quella prontezza di risposta fondamentale per scoraggiare i mercati. Inoltre a Madrid e Lisbona sono stati chiesti pesanti sforzi aggiuntivi per accedere al piano: un taglio supplementare dell’1,5% del deficit quest’anno e del 2% nel 2011. E mentre la guerriglia diplomatica continuava a segnare la notte di Bruxelles dove si continuava a
cercare un accordo, da Basilea i governatori delle banche centrali e il presidente della Bce Trichet hanno seguito i negoziati con il fiato sospeso. In ballo il ruolo che la Bce, pur nella sua indipendenza, dovrà assumere per contribuire a salvare l’euro, consapevole che a un certo punto potrebbe essere chiamata ad acquistare i titoli di Stato non più vendibili sul mercato dei governi sotto attacco speculativo. «Possiamo contare sulla Banca centrale europea- ha indicato da Bruxelles il commissario Ue al Mercato interno Michel Barnier - siamo certi che pur nella sua indipendenza farà il necessario».
Intanto le linee telefoniche tra le varie cancellerie europee erano intasate. Berlusconi, Sarkozy, la Merkel e gli altri leader sono rimasti in contatto tra loro e con i rispettivi ministri impegnati a Bruxelles. In serata a Parigi e Berlino i governi si sono riuniti in fretta e furia per esaminare le proposte che piovevano dall’Ecofin, dove lo scontro si è protratto ben oltre il termine delle 11 di sera che si erano dati i ministri. Si vedrà oggi se la lunga battaglia sarà servita a spaventare i lupi e salvare l’euro.
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