
Fiato alle trombe, trionfano i talkshow politici. Mentana fa il record con il suo speciale sul Cavaliere dimezzato, Ballarò arriva al 22%, una settimana fa Santoro va a due cifre di share nonostante il suo sia un network "artigianale" che va oltre il duopolio. Tutti esultano, tutti portano soddisfatti i propri dati a conferma di un nuovo interesse per trasmissioni più o meno libere, per un dibattito più o meno elevato. E forse è anche vero, ma in queste analisi si dimentica, come spesso accade in Italia, di contestualizzare i risultati. Si guarda al proprio orticello, non valutando il resto. Verrebbe da dire che esultare per Santoro, che porta con sé il suo "solito" pubblico, corrisponde al solito difetto dei progressisti, riformisti o radicali che siano: accontentarsi di essere una nutrita minoranza. Il valore inquietante, infatti, in queste giornate, è un altro. Il Santoro day - molto pubblicizzato, ricordiamolo: era, giustamente, l'evento tele politico dell'anno- non ha neanche intaccato il potere di Don Matteo. Il prete di una Gubbio che nella finzione del curato ex cowboy ha un tasso di omicidi più alto di quello di Caracas (c'è anche un gruppo su fàcebook su questa strana percentuale) ha surclassato tutti, Santoro è andato a pescare ascolti dal Formigli di La7, non scalfendo neanche un po' il "divino" Terrence Hill. E lo stesso vale per il Floris di ieri: era il sogno segreto di qualsiasi conduttore di talk avere la caduta di Berlusconi da commentare, per primo, nel proprio spazio. Bene, risultato straordinario per Ballarò (a proposito, bravi: l'altroieri ottimo lavoro, come spesso accade), però, guarda un po', c'è una mediocre fiction Rai, La ragazza americana, che l'ha battuto sul filo di lana. E la triste realtà è sotto gli occhi di tutti: anche in un momento "caldo" come questo, la qualità dei prodotti vincenti è scarsa e il pubblico si orienta sul nazionalpopolare più trito e ritrito. Siano attenti tutti, quindi, a cantare vittoria: potrebbero trovarsi come il povero Pirro.
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