
Probabilmente inviti simili non si erano mai sentiti, prima di queste elezioni. Senza dubbio, costituiscono un unicum, anche per la concreta impossibilità che essi ricevano risposte positive. Si tratta delle pressioni esercitate da un partito su una formazione minore affinché questa si ritiri dalla competizione.
I casi prospettati in questi giorni sono due.
Da Pier Luigi Bersani e dal Pd sono arrivati segnali d'insofferenza verso l'appoggio sempre concesso dal futuro sodale Mario Monti al candidato presidente della Lombardia Gabriele Albertini. Da Silvio Berlusconi e dal Pdl sono giunti avvisi a Oscar Giannino perché azzeri la presenza elettorale di Fermare il declino.
Ovviamente, sul piano giuridico, la questione non ha soluzione alcuna: una volta che il meccanismo elettorale è in moto, accettate le liste, queste non possono essere ritirate.
A volte giunsero, in passato, estemporanei inviti di singoli candidati a non riversare preferenze a sé stessi; ma celavano capziosi intenti opposti: farsi pubblicità per ottenere voti.
Si può citare la campagna per il non voto avviata nel 1983 dai radicali, i quali, in tal modo, poterono dichiarare, a urne chiuse, l'annessione di cinque milioni di astenuti ai propri 800mila voti.
Sul piano politico, non si vede come potrebbero, a due settimane dalle urne, rappresentanti di una formazione dichiarare il ritiro, nel senso di cessare la propaganda e di passare, semmai, a forme pubblicitarie per il voto utile da esprimersi per altri. Eppoi simili operazioni, astratte e teoriche, non sono fattibili da singoli, perché torme di candidati non accetterebbero mai il (sia pure soltanto politico) proprio ritiro.
È senz'altro vero che Albertini danneggia Ambrosoli, portandogli via voti. Logico che da sinistra si preferirebbe che una parte di quei suffragi arrivasse alla coalizione di centro-sinistra. Tuttavia il candidato civico colpisce, a giudizio diffuso, in misura maggiore il centro-destra, settore dal quale egli personalmente proviene dopo molti anni di militanza.
Altrettanto è vero che Giannino nuoce al centro-destra. Ragionando a spanne e sulla base dei sondaggi, si può ritenerlo capace di attrarre mezzo milione di scontenti berlusconiani. Possibile, ripetono il Cav e i suoi (si veda ieri l'editoriale di Alessandro Sallusti sul Giornale), che non capiscano, sia Giannino sia i suoi colleghi di lista, che fanno il gioco di Bersani&Vendola? Lo capiscono, lo capiscono. Sanno che il loro voto non è utile.
Tuttavia vogliono lanciare un segnale: di stanchezza nei confronti di Berlusconi. Non importano loro le conseguenze indirette del voto dispe©rso; quel che conta è punire il Cav, esprimere la propria stanchezza, dare un chiaro monito a Berlusconi perché comprenda di aver tradito, deludendoli, la rivoluzione liberale.
Quelli di Giannino si possono considerare «voti in libera uscita», come la Dc individuò gli elettori (parecchie centinaia di migliaia) passati nel 1963 al Pli (per protesta contro l'apertura a sinistra con l'avvento del Psi nel governo) e nel '72 al Msi (per protesta contro i cedimenti alla sinistra sindacale, comunista e politica). Sono voti nei quali al raziocinio si aggiunge una carica emotiva che difficilmente si può vincere con l'appello alla scheda utile.
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