
Il pomeriggio della domenica, su Radio Radicale, è molto seguito dagli ascoltatori soprattutto per l'appuntamento con la conversazione settimanale tra Massimo Bordin e Marco Pannella. Domenica scorsa, però, il consueto programma radiofonico si è trasformato in una trasmissione che potremmo definire "straordinaria". Come preannunciato nei giorni precedenti dai microfoni dell'emittente radicale, infatti, oltre a Pannella, in studio vi erano il professore Antonio Martino e il giornalista Valter Vecellio a sostituire Bordin, assente giustificato. Si è trattato di un incontro davvero molto denso di contenuti, cordiale nella forma eppure vivace e non banale, anzi è stato pieno di spunti e riflessioni, divertente, mai noioso, ma soprattutto libero. Libero da preconcetti, libero da schemi, libero da pregiudizi. In particolar modo, ad un certo punto della conversazione, il discorso è caduto sul tema della riforma elettorale. L'accento è andato sul sistema uninominale e maggioritario, cioè il preferito sia da Pannella che da Martino. Anche se il professore, tessera numero 2 di Forza Italia, si è definito "realista" e disposto, in mancanza di alternative, anche a scegliere il male minore, cioè il "mattarellum", con il 75 per cento di seggi assegnati con l'uninominale e il 25 per cento con il proporzionale. Quello che non si capisce è come questo governo, ora, sulla scia di un'ondata antipolitica e partitocratica, possa rendere compatibile il dimezzamento del parlamento con un sistema uninominale. Ma non è solo questo, c'è dell'altro. C'è il fatto che ogni persona può far cambiare senso al proprio passato attraverso le scelte che farà in futuro. Infatti, è senz'altro vero che il nostro agire di oggi determina il nostro domani, ma non va dimenticato che anche le scelte di domani possono identificare il nostro passato e contribuire a spiegare meglio chi siamo, cosa siamo stati, che cosa abbiamo fatto. E il giudizio storico che ne verrà, inevitabilmente, sarà espresso in virtù di quello che siamo stati nel corso del tempo, a cominciare dalle scelte future, che aiuteranno a leggere il significato e il senso del nostro passato. Per questo motivo, Silvio Berlusconi ha una responsabilità rispetto alla propria "discesa in campo" e al fatto che, nel 1994, provocò e permise l'attuazione del sistema democratico dell'alternanza. Non può sottrarsi a una tale responsabilità. Proprio perché quel mutamento va a suo merito e, quindi, lo connota sul piano politico più di qualsiasi altra cosa. Anzi, di più: senza la prospettiva liberale e riformatrice rappresentata dalla democrazia costruita sul sistema uninominale, ci sarebbe solo un presente da archiviare, senza passato e senza futuro. Se Berlusconi e il centrodestra rinunciassero definitivamente alla riforma istituzionale ed elettorale sul modello anglosassone o americano, allora quei meriti politici si dissolverebbero nel nulla, si perderebbero di fronte a scelte divenute dichiaratamente partitocratiche, come il cosiddetto "porcellum", che va nella direzione opposta e contraria alla storia politica di Berlusconi, alla sua "discesa in campo" e alla nascita di Forza Italia. Grazie alla prospettiva della rivoluzione liberale, infatti, già all'epoca, nel 1994, Silvio Berlusconi riuscì a determinare un cambiamento dell'assetto politico. Fu una rivoluzione. Per un paio d'anni sembrò che da quell'inizio dovesse scaturire, come naturale conseguenza, una legge elettorale uninominale e maggioritaria. Invece, niente. Dopo aver favorito la nascita della democrazia dell'alternanza, nei lustri successivi, purtroppo, quella prospettiva liberale e riformatrice fu accantonata e progressivamente vanificata. In altre parole, sul passato politico del Cavaliere pesano e peseranno le decisioni che prenderà già da oggi e ancor di più domani, in riferimento all'unico vero cambiamento che è riuscito a fare all'interno del nostro sistema politico: l'alternanza tra maggioranza e opposizione al governo del Paese. Mi riferisco, in particolar modo, quindi, alla riforma istituzionale e a quella elettorale. Se resterà il "porcellum", infatti, al premier non resterà nemmeno il merito di aver costruito l'alternanza liberale. Anche se manca l'alternativa.
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