
È ora di chiedere scusa. Chiedere scusa innanzitutto al partito delle zucchine rincarate, a quelli che, all'indomani della nascita dell'euro, già si lamentavano per il raddoppio del prezzo delle zucchine. Avevano ragione loro: tutto cominciò a costare due volte i prezzi con le lire. E torto noi che invece li abbiamo presi per rozzi trogloditi qualunquisti abbarbicati alle loro miserabili zucchine, insensibili alla magnificenza futuribile della nuova, smagliante moneta con cui avremmo pagato l'ingresso per un Nuovo Evo di prosperità e di civiltà.
Chiedere scusa a quelli che venivano bollati e indicati alla pubblica riprovazione come «euroscettici», semplicemente perché si chiedevano come potesse reggere una moneta unica senza, e contestualmente, istituzioni democratiche unite, senza una politica fiscale unica, senza un sistema giudiziario unico. Chiedere scusa agli incontentabili, anche loro svillaneggiati come «populisti» dai professionisti della scomunica d'establishment, che si chiedevano che fine potesse fare la democrazia se ciò che è fondamentale della decisione democratica viene ceduto a una sovranità superiore non eletta da nessuno, non scelta in nessuna discussione pubblica, incarnata da arcigni euroburocrati senza volto, senza anima, senza energia, senza coraggio. Senza popolo.
Sarebbe il caso di chiedere scusa ai francesi, agli olandesi, agli irlandesi che, appena hanno avuto una scheda da deporre nell'urna, hanno detto «no, grazie» (solo gli irlandesi si sono ricreduti). Chiedere scusa a chi non ha mai voluto che gli europei votassero, decidessero a maggioranza, creassero un vincolo di rappresentanza con chi poi avrebbe deciso per loro, e senza mai chiedere loro un parere. Chiedere scusa a chi, pensando diversamente dal pensiero dominante, veniva bollato ipso facto come un mattoide fanatico, a cominciare da Ida Magli. Chiedere scusa a chi dubitava della saggezza di affidare i destini di una cosa così importante come l'Europa ai ragionieri dell'euro. Chiedere scusa a chi non si fidava troppo delle banche. A chi ha sempre preferito, al capitalismo finanziario, il capitalismo delle manifatture, delle cose, dei talenti, della creatività, dell'intraprendenza, del rischio, del benessere diffuso.
Ora siamo qui sballottati dalle onde come i naufraghi della Medusa di Géricault, e non possiamo più scendere dalla zattera, pena la catastrofe. Ma se avessimo dato ascolto a chi oggi dobbiamo delle scuse, forse il naufragio l'avremmo evitato. Di certo siamo stati paurosi, conformisti, compiacenti, reticenti, omertosi, isolando e dileggiando chi indicava i pericoli per tempo, facendo dell'Europa un feticcio per provinciali con l'abito della festa che si inchinano al cospetto di una moneta e dimenticano l'Europa della democrazia, della cultura, del diritto e dei diritti. Troppo tardi? Chissà. Magari chiedere scusa non serve all'euro. Ma alla coscienza sì.
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