
15/12/10
Il Foglio
A ottobre il debito pubblico italiano ha raggiunto il valore record di 1.867 miliardi di euro. Rispetto al mese precedente è cresciuto di 22,5 miliardi di euro, e addirittura di 62,8 rispetto allo stesso mese del 2009. Si tratta di valori notevoli e, anche se è probabile che a dicembre lo stock di debito si ridurrà per le usuali operazioni di buyback che il Tesoro conduce a fine anno, resta una zavorra immensa sulle spalle del paese. Poiché la situazione è grave, è necessario aprire una nuova stagione di dismissioni del patrimonio mobiliare e immobiliare dello stato, in modo da ridurre il debito pubblico. Se questo cresce, cresce, cresce, noi dobbiamo vendere, vendere, vendere tutto ciò che sta nel settore pubblico e che non è strettamente necessario all’esercizio delle funzioni pubbliche. Case, caserme, aziende. La pervasiva presenza dello stato ha una duplice conseguenza. Anzitutto significa che esistono capitali immobilizzati e che, nella maggioranza dei casi, sono impiegati in modo non propriamente ottimale: una famiglia sommersa dai debiti è costretta a vendere la villa in campagna, e lo stato dovrebbe fare lo stesso. Non solo: l’intermediazione pubblica spiazza gli investimenti privati, o inibisce l’impiego più produttivo delle risorse oggi in mani statali. Perciò una grande campagna di cessione del patrimonio avrebbe un formidabile effetto pro crescita sia perché il contenimento del debito farebbe calare il nostro rischio sovrano, sia perché darebbe ossigeno al mercato. Uno stato più piccolo è uno stato migliore, che può concentrarsi sul suo ruolo e lasciare che la società produca ricchezza.
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