
Il metodo è noto: quando Barack Obama non riesce a risolvere un problema per via istituzionale entra nell'arena e convoca la stampa. Ieri ha spiegato quanto è grave la condizione dei dialoghi sul budget, ha detto che l'accordo sul tetto del debito pubblico è lontano e che se non si arriva a un piano comprensivo sul bilancio entro il due agosto il governo non sarà in grado di "pagare le bollette". Naturalmente la colpa del dramma nazionale prospettato dal presidente è dei repubblicani, che non accettano di sacrificare le loro "vacche sacre" su alcune misure di buon senso che permetterebbero alle fazioni di scavalcare l'ostacolo tenendosi per mano: aumentare le tasse per i ricchi, per le compagnie petrolifere e i proprietari di aerei privati, "gente che sta molto bene e che ha goduto della pressione fiscale più bassa da prima che io nascessi”.
Per Robin Hood è facile aizzare la folla contro lo sceriffo di Nottingham, ma se i dialoghi delle ultime settimane sono finiti in un vicolo cieco è perché i repubblicani sono contro la natura depressiva dell'innalzamento delle tasse e non per la difesa a oltranza della corporazione degli opulenti. Quando il presidente dice che il suo partito ha già fatto molto per tagliare le voci di spesa nel bilancio e ora bisogna parlare di "entrate" (la parola "tasse" risulterebbe più comprensibile), contribuisce a una rappresentazione in cui i democratici lavorano per il bene del paese, mentre tutti gli altri servono interessi particolari. L'economia americana ha bisogno di sostegni per la crescita e posti di lavoro, cioè di manovre vere e toste, non di alzare le tasse dietro al paravento della morale pubblica.
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