
Che Emma Bonino non potesse trasformarsi in una figura di mediazione, scialba e scolorita, i dirigenti del Pd avrebbero dovuto saperlo da tempo. O almeno da quando ne hanno accettato, obtorto collo, la candidatura per la Regione Lazio. Lamentarsi perché Emma Bonino è Emma Bonino è tardivo e controproducente. Dare addirittura voce a rancori anti-radicali, malumori e
pentimenti sarebbe invece un puro gesto di autolesionismo politico. La sindrome autolesionista, del resto, non è una novità in casa democratica.
Ma diventerebbe una malattia incurabile se, a trenta giorni dal voto regionale, si scatenasse una guerriglia sorda contro il candidato di una coalizione da cui non si può però pretendere la sconfessione della propria identità radicale, della propria storia radicale: dello stile radicale. E allora perché nel Pd laziale serpeggia in questi giorni un immobilismo, una prolungata e perciò sospetta esitazione, una riluttanza a gettarsi con tutte le proprie energie in campagna elettorale?
Perché l`Unità accusa la Bonino, adoperando termini volutamente offensivi, di aver addirittura «disertato» la vetrina dei candidati del centrosinistra? Perché Rosy Bindi sceglie di trasmettere l`impressione di una sua invincibile (ma non solitaria) svogliatezza nei confronti del candidato del Lazio, colpevole in fondo con lo sciopero della fame di non voler troncare il suo legame con le battaglie che da sempre caratterizzano la pattuglia radicale? Forse perché temono (o cominciano a temere, appunto, tardivamente) un contraccolpo sull`elettorato cattolico? Ma l`abbandono di Paola Binetti, e prima ancora quello dei cattolici che hanno lasciato il Pd per la nuova formazione di Rutelli o persino per l`Udc, è qualcosa di più e di diverso dall`effetto di spavento per un eventuale eccesso laicista nel voto laziale. Tanto è vero che, negli stessi giorni, si è registrato l`approdo di Giulia Rodano, erede di una famiglia politica che ha rappresentato il cuore e il cervello del cattocomunismo italiano, nel porto oltranzista dell`Italia dei Valori. Un`uscita dal Pd, ma dalla parte opposta. Difficile attribuirne la responsabilità all`opzione democratica per la Bonino. Arduo proiettare una difficoltà interna su una figura vissuta come un`aliena, come se la crisi drammatica di Red Tv fosse, anche questa, colpa della Bonino.
È come se nel Pd circolasse un insano sentimento di umiliazione subita dal modo di fare di una candidata che il partito ha dovuto accettare senza condizioni. E senza trattare con lei sulle alleanze nazionali, come in Lombardia, dove i radicali e la stessa Bovino sono concorrenti del candidato di centrosinistra Penati. Il pasticcio radicale sul regolamento Rai per la par condicio, con la Bonino pubblicamente schierata con il deputato Beltrandi su una norma sciagurata nel campo dell`informazione televisiva, ha inasprito i rapporti, dando la sensazione che l`incontro tra radicali e democratici fosse più un matrimonio di interessi che una scelta convinta di unione duratura. Ora addirittura le recriminazioni, le rimostranze, le accuse. Che accentuano la percezione di una scarsa convinzione. E che rischiano di annullare gli effetti di una scelta che, malgrado tutto, e malgrado il modo avventuroso e caotico con cui è maturata, può risultare vincente anche nella lotta con un concorrente forte e deciso come Renata Polverini. Sempre che non prevalga l`autolesionismo, la tentazione di rovinare tutto nel momento meno opportuno.
Preludio inevitabile di un`evitabilissima sconfitta.
© 2010 Corriere della Sera. Tutti i diritti riservati