
A tre giorni dalla fine del processo in cui è imputato per le firme false che nel 2010 consentirono la presentazione della lista Formigoni alle elezioni regionali, il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, eletto con il Pdl ma domenica candidato Ncd non eletto alle Europee, congela la sentenza chiedendo alla Cassazione (dopo 800 testimoni già ascoltati) di trasferire il processo a Brescia: via da Milano per l’asserita «impossibilità nella sede giudiziaria milanese» di trovare un giudice che possa «decidere in maniera serena una assoluzione o una condanna senza che la decisione possa apparire all’esterno come una sorta di sconfessione dell’operato del procuratore Bruti Liberati o del procuratore aggiunto Robledo». Podestà, infatti, è un casus belli tra i due magistrati.
Nel 2010 Bruti chiese l’archiviazione dell’iniziale denuncia sporta da Radicali italiani, che con Lorenzo Lipparini si opposero poi davanti al gip all’archiviazione depositando una consulenza grafologica che documentava già a occhio nudo numerose falsità. Su questa base Robledo aprì una inchiesta-bis a carico di ignoti, nel cui ambito il 28 novembre 2011 indagò Podestà per falso dopo aver il 24 raccolto le accuse mossegli dalla funzionaria Pdl Clotilde Strada. Al Csm Robledo sostiene che Bruti cercò di frenare l’iscrizione, preoccupandosi che «questo creasse un problema nel Pdl» e suggerendo che «in una situazione delicata fosse prima necessario fare ulteriori indagini». Robledo in una lettera rimprovera a Bruti: «Infine mi hai testualmente detto che l’iscrizione avrei dovuto farla "solo quando te lo dico io". Ti ho risposto che in più di 30 anni di magistratura le iscrizioni le avevo fatte esclusivamente in adempimento all’obbligo di legge. Ho aggiunto che il lunedì successivo, 28 novembre, avrei comunque proceduto all’iscrizione». E in dicembre, in corridoio, «mi hai chiesto: "Quell’iscrizione non l’hai poi fatta, vero?". Ti ho risposto che l’avevo fatta e mi hai detto: "Allora non ci siamo capiti"». Bruti, invece, al Csm spiega di aver solo preteso, come capo, di essere informato su processi delicati e contesta a Robledo: «Ho appreso dell’avvenuta iscrizione di Podestà (...). Hai proceduto a stretto giro, senza preavvisarmi e adottare la cautela dell’iscrizione con nome di fantasia, che ti avevo indicato a tutela della segretezza».
Gongola ora Podestà, che nell’istanza di rimessione alla Cassazione evidenzia sia lo scontro tra correnti nel Csm sia la richiesta di ispezione ministeriale a Milano avanzata dal togato di Magistratura Indipendente Racanelli sia gli appelli lanciati al Csm dal pm Boccassini, del vicepresidente Vietti e dall’Anm affinché il Csm decida in fretta tra Robledo e Bruti per mettere al riparo la Procura da una situazione ingestibile: «L’imperversare delle tensioni interne alla magistratura milanese», prospettano gli avvocati Gaetano Pecorella e Paolo Veneziani, è ormai tale che qualunque sentenza la giudice Monica Amicone adotti su Podestà «rischierebbe concretamente di essere utilizzata, a seconda dell’esito e delle motivazione, come uno strumento per sostenere le ragioni degli opposti "schieramenti"».
© 2014 Corriere della Sera. Tutti i diritti riservati