
I riconoscimenti del Pdl a Giulio Tremonti sono sinceri: in positivo ed in negativo. Così gli viene dato atto di essere un ottimo ministro dell’Economia; e in parallelo, proprio perché sta facendo bene lì, si esclude che possa diventare vicepresidente del Consiglio. Umberto Bossi la pensa diversamente, e continua a candidarlo a vicepremier mentre il resto della Lega lo accredita come «un fuoriclasse» indispensabile per la credibilità dell’Italia sui mercati finanziari. Ma ha l’aria di un dialogo fra sordi che peraltro rischia di schiacciare ancora di più Tremonti sul Carroccio. Il risultato di questa saga che non sembra preludere al lieto fine è una modifica dei rapporti di forza all’interno del centrodestra; con un Silvio Berlusconi spazientito e incerto fra l’esigenza di mediare ed il timore di logorare il governo.
La novità è che la miscela di antileghismo e antitremontismo sta restituendo spazio e peso politico a Gianfranco Fini. Negli ultimi mesi, con alcune prese di posizione considerate dagli alleati eterodosse, al limite della provocazione, il presidente della Camera sembrava ai margini della maggioranza; ed il centrodestra si mostrava risentito per il dialogo ostentato con l’opposizione. Il braccio di ferro sull’economia ed i contrasti fra Tremonti e la Lega da una parte, i ministri e lo stesso premier dall’altra, hanno invece ridisegnato in pochi giorni i ruoli. Quando la fondazione di Fini, Farefuturo, avverte: «Non vogliamo morire leghisti», intercetta un malumore ed una preoccupazione diffusi in buona parte del Pdl; ed acuti nella nomenklatura settentrionale del partito, dove la competizione con Bossi è più dura.
E quando il presidente della Camera si mette alla testa di quello che Tremonti definisce «il partito della spesa», calamita altri consensi. Si ritrova dietro settori del Pdl e personalità che magari non sono omogenei né si amano; non hanno gradito le esternazioni più recenti di Fini; e dissentono dalla sua strategia parlamentare o dalle posizioni sull’immigrazione o sulla legge sul fine vita. Ma in questa fase sono suoi alleati oggettivi per piegare il ministro dell’Economia alla collegialità e ridimensionare l’ipoteca di Bossi sulla coalizione. Con la consueta lucidità, il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, fotografa la novità.
Berlusconi, spiega il senatore a vita, pensava che il Pdl si identificasse con lui; e invece ora si rende conto di avere un partito nel quale spunta anche il protagonismo di Fini: un fotogramma a sorpresa, scaturito dalle tensioni degli ultimi giorni sulla politica economica. La nota diffusa ieri dopo l’incontro di oltre tre ore ad Arcore fra Berlusconi ed i coordinatori del Pdl (Bondi, Verdini, La Russa) trasmette un messaggio che va nello stesso senso. Si parla infatti di «contemperare due esigenze altrettanto valide»: rigore e ripresa dello sviluppo. Ma si tratta proprio dell’abbinamento che il ministro dell’Economia teme, considerandolo l’anticamera di un aumento della spesa pubblica; e che invece i suoi avversari interni valorizzano. La guerra dei nervi, se non di logoramento fra la «pancia» maggioritaria del Pdl, e Tremonti e la Lega è proprio su questa lettura diversa della crisi.
Il problema è che Palazzo Chigi mostra di appoggiare il cosiddetto «partito della spesa». Nel documento diffuso ieri si leggono alcune righe, che nel braccio di ferro potrebbero segnare il confine fra vittoria e sconfitta. La necessità di trovare una via mediana fra il contenimento della spesa e l’aggancio di una possibile ripresa è infatti «espressa dal presidente Silvio Berlusconi», si sottolinea nella nota. Sembra di capire che il premier tende a schierarsi dalla parte del Pdl «finiano» e antitremontiano. Da qui ad arrivare ad una resa dei conti, però, il passo non è scontato. Il tentativo del capo del governo è mediare e, se possibile, placare la fronda contro il suo ministro più strategico, ottenendo da Tremonti maggiore duttilità. L’insistenza della Lega sulla credibilità del titolare dell’Economia presso i colleghi europei e le istituzioni internazionali evoca il pericolo delle sue dimissioni; e tenta di esorcizzarle facendo balenare scenari da incubo finanziario, prima ancora che politico. Ma la drammatizzazione, da qualunque parte provenga, può nascondere delle trappole; ed avere effetti indesiderati.
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