
26/08/10
Il Foglio
Ovvio disappunto, ovvia apprensione per il ritiro, non certo glorioso, delle truppe combattenti americane dall'Iraq dopo sette anni di guerra non risolutiva. Delle conseguenze militari, politiche, diplomatiche della decisione si occuperanno diffusamente gli esperti. Dei quali invece non ci sarà bisogno per analizzare un altro sentimento, anch'esso negativo, che ci assale alla notizia. Il sentimento è qualcosa di vago, diciamo un disagio, una vaga apprensione tutta chiusa nella sfera intellettuale: la definirei una sorta di malinconia.
Diciamocelo: dobbiamo per caso parlare oggi di un'altra sconfitta dell'occidente, di un'altra sconfitta del sogno di una Democrazia universale ispirata ai mitici diritti dell'uomo, alla spiritualità cristiana, al secolare dialogo tra fede e ragione, alla laicità infine, figlia anch'essa di quel confronto di cui fa vanto solo - pare - l'occidente? La nostra identità appare di nuovo in pericolo. Filtrano le prime recriminazioni, si levano minacciosi le dita (o i pugni) contro l'avversario che sembra aver conquistato una posizione forte da cui dilagare sulle nostre terre e sulle nostre più profonde convinzioni. Per qualche anno, la tesi di Samuel Huntington sulla ineluttabilità del conflitto tra le culture emergenti nel mondo globalizzato è stata il propellente di un gigantesco dibattito politico. Huntington identificò sette - o meglio otto - "civiltà" (con qualche sovrapposizione con il termine "cultura", che in altri contesti è invece ben distinto dal primo) mature e pronte a confrontarsi per l'egemonia planetaria:la civiltà occidentale, la latinoamericana, l'islamica, la cinese, l'hindu, l'ortodossa, la giapponese e l'africana. Dopo l'undici settembre, il dibattito si focalizzò sullo scontro, ritenuto ormai aperto, tra la civiltà occidentale e l'islamica: così almeno Huntington venne interpretato e rilanciato dai teorici della destra neocon, nel loro sforzo per imporre alla politica americana nel medio oriente i loro dogmi, "Peace through strength" e "TINA - there is no alternative" (non c'è alternativa al modello capitalistico e del libero mercato). Oggi non ci sono più le certezze di Huntington, le tesi dei neocon si sono se non sgretolate almeno affievolite, ma la paura della perdita di identità dell'occidente e dei suoi valori di fronte a "culture" altre e diverse è di nuovo ad un suo parossismo.
Il primo fronte è sempre l'islam: la vicenda della moschea (o, meglio, del centro culturale islamico) da erigere sul terreno del Ground Zero sta polarizzando l'attenzione dell'opinione pubblica americana. Forse è uno spunto polemico in vista delle prossime elezioni di mid-term; uno spunto ben scelto, va riconosciuto: un recente sondaggio dice che il 68 per cento degli americani è contrario "alla moschea di Ground Zero", e il presidente Obama, che si era dichiarato favorevole, appare un po' isolato anche nel suo partito. Manca tuttavia, nello sfondo del tormentose, la dignità e forse anche la "grandezza" delle tesi dei neocon, che disegnavano una architettura ideologico politica discutibile ma compatta e complessa. Questa volta, mi pare di vedere che il rifiuto della moschea è solamente il segnale di uno sconcerto sotterraneo, istintuale e primitivo, che sembra pervadere le viscere del paese senza che nessuno sia capace di raccoglierne e indirizzarne razionalmente gli impulsi. Alla questione della moschea c'è da aggiungere l'allarme per l'immigrazione dei latinoamericani attraverso la frontiera messicana (sempre Huntington: "l'immigrazione latino-americana potrebbe dividere gli Stati Uniti in due popoli, due culture, due lingue", e anche: "Non c'è un 'sogno americano'. C'è solo il 'sogno americano' creato da una società anglo protestante").
Un analogo virus sta infettando l'Europa: il presidente Sarkozy dà vita a una campagna di espulsione dei rom come tangibile prova della sua volontà di ripulire la Francia dagli inquinamenti etnici, di dare sicurezza alle sue banlieue, di accondiscendere alle richieste più irrazionali. Espellere qualche centinaio di rom non sembra una misura risolutiva per nessuno dei problemi che travagliano la Francia, ma l'effetto psicologico è forte. In Italia, il ministro degli Interni. Maroni, si dichiara pronto a seguire e, se possibile, superare Sarkozy: Maroni include nelle sue liste di proscrizione anche gli extracomunitari (mi pare). L'occidente, i cui valori di democrazia e di ispirata laicità vengono a ogni momento sbandierati come i valori dell'unica civiltà libera creata dall'uomo, viene rimesso in discussione: il ritiro dal Vietnam fu per l'America uno shock, dal quale sono occorsi anni per risollevarsi. C'è il rischio che il ritiro dall'Iraq appaia sul momento meno grave, meno insopportabile. Ma forse inciderà più profondamente, si insinuerà nelle fibre non solo dell'America, ma dell'intero occidente. Sto esagerando?
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