
Per incarico istituzionale e ruoli ricoperti, non c'è paragone possibile fra Mario Monti e Michel Martone. Eppure il premier con la sua uscita sulla monotonia del posto fisso è andato pericolosamente vicino allo scoglio di una gaffe quasi pari, per impatto mediatico, a quella del giovane vice-ministro. A salvarlo probabilmente sono stati due fattori: la buona stampa di cui gode e il tema avventurosamente affrontato, inadatto a intemerate della stampa di destra. Non è però solo per l'indulgenza dei grandi giornali che Monti è uscito quasi indenne.
Forse la verità, scomoda e complicata, è che la sua affermazione, in superficie urticante, contiene un fondo di verità e anche chi l'unico posto che ha è quello nella fila dell'ufficio di collocamento in cuor suo lo pensa. Qualche commento sui social-network svela forse i termini della questione, attraverso una critica apparentemente sarcastica. Certo che il posto fisso è monotono ed è meglio una vita avventurosa, purché sia monotonamente scandita da un assegno mensile.
Dietro il gusto della battuta feroce c' è forse qualcosa di più, che pone un problema alla sinistra. Il lavoro, con annesso l'orgoglio di appartenenza a una classe, perde colpi come valore in sé a vantaggio del reddito garantito, nuova possibile identità egualitaria di classe. Se è così, quel "welfare universale" che economisti e governo prospettano a un sindacato arroccato su una trincea novecentesca, può essere una soluzione, sia pure approssimata e instabile.
© 2012 Il Riformista. Tutti i diritti riservati