
01/10/10
L'Unità
La notizia è una bomba. Le smentite sono quasi contestuali, previste e attese. Renato Schifani, il presidente del Senato, la seconda carica dello Stato, è indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Contro di lui le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza e Francesco Campanella. Dichiarazioni e chiamate in causa relative a quando, primi anni novanta, Schifavi era un brillante e assai ricercato avvocato amministrativista a Palermo. Tra i suoi clienti figurava, tra gli altri, Pippo Cosenza imprenditore vicino ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, i boss di Brancaccio, mandanti e autori delle stragi, che si sarebbero più volte incontrati per affari con l'allora avvocato.
La notizia, una bomba appunto, viene lanciata a fine mattinata dal sito dell'Espresso ed è firmata da Lirio Abbate, uno dei più esperti giornalisti di mafia. Piomba al Senato proprio mentre è in corso il dibattito sulla fiducia al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il premier è in aula. Schifani nel suo ufficio - ha lasciato per un po' la conduzione dell'aula al vicepresidente Emma Bonino - quando il suo portavoce gli porta il lancio di agenzia.
Poco dopo arriva il premier, un breve colloquio, si rivedranno alle quattro per la replica e il voto finale. Schifani attende nel suo ufficio, legge, segue con attenzione le agenzie. Momenti e minuti lunghissimi. Fino alle quattordici quando arriva la smentita ufficiale del procuratore di Palermo Francesco Messineo: Al nome del presidente del Senato Renato Schifani non è iscritto nel registro notizie di reato di questa procura». Boccata d'ossigeno. Sufficiente per dare il via agli attestati di solidarietà ed attaccare «la solita macchina del fango che si mette in moto nei momenti più delicati». E questo, in effetti, è il passaggio più delicato per la legislatura. Ora, occorre mettere due punti fermi.
Il primo: da tempo Spatuzza parla di Schifani, già nei primissimi interrogatori del 2008 e due lunedì fa è stato sentito a lungo dai magistrati di Palermo a cui i colleghi di Firenze, nel pieno dell'estate, avevano già trasmesso altri verbali scottanti. Secondo: quando si parla di reati di mafia esiste un regime diverso che tutela ai massimi livelli la segretezza dell'indagine per cui il magistrato è obbligato a negare l'iscrizione al registro anche al diretto interessato. E' successo anche in agosto quando l'Unità anticipò l'iscrizione nel registro degli indagati di Berlusconi e Dell'Utri per l'inchiesta sui mandanti delle stragi del 1993: notizia vera a cui seguì la doverosa smentita della procura. Spatuzza, a cui il Viminale ha negato l'ingresso nel sistema di protezione, continua a raccontare e far riempire verbali. Soprattutto a Firenze ed è assai probabile che l'iscrizione della seconda carica dello Stato sia avvenuta proprio nel capoluogo toscano (da cui arrivano altre smentite).
PRIMI ANNI NOVANTA
Il nome di Schifani è al centro anche dei verbali di un altro pentito, Francesco Campanella, il mafioso-politico che procurò a Bernardo Provenzano una falsa carta d'identità per farsi curare in un ospedale di Nizza. Entrambi raccontano dei rapporti di Schifani avvocato con i fratelli Graviano. Tra i suoi clienti Schifani aveva appunto Pippo Cosenza,l'imprenditore del quartiere Brancaccio che tra il '91 e i1'92, alla vigilia della stagione stragista orchestrata dai fratelli Graviano per costringere lo Stato a trattare, aveva messo a disposizione un capannone dove i Graviano incontravano altri mafiosi. Il ruolo di Spatuzza, all'epoca, era quello di proteggere Filippo Graviano, era il suo guardaspalla e per questo vigilava il capannone dove avvenivano gli incontri. Più volte a quegli incontri, Spatuzza, racconta di aver visto partecipare anche Schifani. Lo ha visto ma non ha mai ascoltato il contenuto dei loro colloqui. L'iscrizione sarebbe un atto dovuto. Di certo, quei verbali e non solo quelli, tutti coperti da rigoroso segreto, stanno scrivendo una nuova pagina, delicatissima e rischiosa, dell'antimafia.
© 2010 L'Unità. Tutti i diritti riservati
PrimaPagina:
No