
09/09/10
Il Secolo d'Italia
Non è passato inosservato l'auspicio di Marco Pannella di un messaggio del presidente Napolitano al parlamento dopo la situazione che si è creata tra Gianfranco Fini e la maggioranza. Meno rilevanza hanno avuto sui quotidiani le argomentazioni che hanno portato il leader radicale a lanciare l'allarme per una situazione definita «grave».
A 80 anni suonati, Marco Pannella si è concesso il lusso di liquidare con uno sberleffo virtuale l'idea di Pdl e Lega di "sfiduciare" Fini. In politica dal 1950. all'attivo una decina di legislature tra Montecitorio e parlamento europeo, Pannella ha colto le avvisaglie di una situazione particolarmente delicata dal punto di vista istituzionale. Tanto da meritare un appello a Giorgio Napoletano. Ma soprattutto ha tirato fuori qualche aneddoto parlamentare che dovrebbe far riflettere chi pontifica sulla terza carica dello Stato citando i bei tempi della Prima Repubblica. In particolare questa accusa contro la presunta mancata terzietà di Fini ha suscitato l'ilarità di Pannella, che nella Prima Repubblica è stato protagonista attivo e in prima linea contro la partitocrazia. «Adesso la maggioranza si duole di ciò che tutti presidenti della Camera hanno fatto più o meno da quarant'anni», ha attaccato il leader radicale. E giù le citazioni di due illustri inquilini del seggio più alto di Montecitorio, Nilde Jotti e Pietro Ingrao. «Hanno fatto tutto e il contrario di tutto». Nel caso di quest'ultimo, in particolare, Pannella ha sottolineato che nel periodo del sequestro Moro diresse i lavori d'aula, a suo dire, in modo piuttosto arbitrario. «Impedì che vi fosse un dibattito sul governo che nasceva in quelle ore e sospese ogni dibattito per tutta la durata del sequestro Moro».
Altro dato, che il leader radicale, in prima linea sul fronte delle battaglie di legalità, ha sottolineato, il presunto pericolo per le istituzioni di un presidente della Camera che sia anche leader di un soggetto politico. Pannella chiede qual è il problema e, anzi, ribalta la questione: «A me preoccuperebbe un presidente della Camera smaccatamente impegnato a sostegno della maggioranza di regime, molto di più di. uno che lo faccia su una posizione propria di una minoranza, nel Paese e nel parlamento».
Una bella lezione per tante improvvisate vestali delle istituzioni. Nell'intervento sulla sua Radio Radicale Pannella si è concesso qualche battuta anche sul vertice di Arcore, etichettato come «la solita merenda tra Bossi e Berlusconi». E ancora un consiglio al capo dello Stato: «Continuare a ricevere Bossi, il suo vice, il suo amico Berlusconi ed altri? No. Credo che quello che oggi urge, che non solo non è vietato ma è riconosciuto come prerogativa, io dico come dovere, è quello di rivolgersi con un messaggio alle Camere». Una risposta forte da parte di Napolitano che nasce da una fase di emergenza e di crisi. «La situazione per un istante richiede un mini- mo di chiarezza. I presidenti della Repubblica per ventuno anni non hanno usato se non in modo direi straordinario e debole dell'unico potere che assegna loro la Costituzione: quello di esprimersi attraverso messaggi alle Camere, al proprio corpo elettorale, al parlamento».
Il leader storico dei radicali si è detto «lietissimo di rispondere ai collaboratori del presidente, per meglio chiarire il mio punto di vista, di uno che da cinquant'anni combatte per la democrazia e contro la partitocrazia». Pannella ha definito «urgentissimo, appropriato, quasi un atto dovuto, obbligato» il messaggio alle Camere di Napoletano, perché «il presidente si scrolli da dosso questo assedio partitocratico e riacquisti in modo patente ed evidente la sovranità propria, il potere sovrano del Presidente della Repubblica, nell'ambito dei poteri che la Costituzione gli conferisce. E sono certo che questo potrà essere un fatto nuovo». La difesa di Fini è quindi una difesa delle istituzioni e della funzione del presidente della Camera. «Non voglio avere la presunzione di sapere cosa nel messaggio il presidente può dire - ha spiegato Pannella - ma mi pare pacifico che la durata dei presidenti della Camera e del Senato, come quella dei presidenti della Repubblica, può interrompersi per propria, sovrana decisione di dimettersi». Dunque, non solo Fini non può dimettersi, ma a questo punto, secondo il leader radicale, se accettasse il diktat di Bossi e Berlusconi, sarebbe chiamato in «correità» con loro. «Se le dimissioni fossero la conseguenza di un ordine partitocratico - ha infatti argomentato Pannella credo sarebbe una responsabilità criminale anche da parte del presidente della Camera».
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