
Detenuti mafiosi in Sardegna? Perchè nessuno pensa mai però anche alla sorte dei carcerati sardi reclusi oltre Tirreno? Lo chiede in una nota la Casa dei Diritti, a firma degli avvocati Renato Chiesa e Pierandrea Setzu: "L’opinione pubblica sarda è continuamente sollecitata sulla questione del trasferimento, negli istituti penitenziari dell’isola, di detenuti “continentali” per reati di criminalità organizzata.
I commentatori paventano il rischio di un contagio criminale da parte dei reclusi “eccellenti” e scrivono che, così facendo, la Sardegna si trasformerebbe in una nuova isola di Cayenne.
Il problema è in realtà ben più articolato. Accanto ai problemi di sicurezza ed ordine pubblico che suggeriscono all’amministrazione penitenziaria lo splendido isolamento in Sardegna per i detenuti di mafia, e nonostante le manifeste perplessità di parte del mondo politico isolano per questi trasferimenti, ci si dimentica dei tanti detenuti sardi reclusi oltre Tirreno che hanno “diritto di precedenza” rispetto agli altri ristretti, per far ritorno nell’isola.
Tanti detenuti “continentali” vengono trasferiti nell’isola: ma quanti reclusi sardi sono ristretti oltremare? L’istituto di Spoleto, tanto per fare un esempio, ospita decine di detenuti sardi che da anni chiedono un avvicinamento. Secondo le ultime stime ministeriali, i reclusi con residenza anagrafica in Sardegna sono 1.222 al 31.12.12, di cui 193 distribuiti nella penisola. Fra costoro, 88 sono in attesa di giudizio. Dati sconcertanti, se si pensa che la capienza negli istituti di pena isolani è, ad oggi, di 2.257 unità e che i detenuti presenti nell’isola sono 2.021. Perché allora, dati alla mano, non si consente ai reclusi sardi della penisola il contatto con le proprie famiglie? E perché si privilegia, al contrario, il trasferimento nell’isola dei reclusi non sardi?
Giungono a “Casa dei diritti” numerose richieste d’intervento in questo senso: i detenuti sardi reclusi nella penisola non riescono a mantenere alcun contatto con la propria famiglia d’origine, costretta ad affrontare viaggi di giornate intere per ogni colloquio. Se, poi, il detenuto si trova recluso in istituti lontani da scali navali o aeroportuali, il disagio è amplificato da viaggi interminabili e spese insostenibili. La situazione è ancor più drammatica per chi ha parenti e genitori anziani: di fatto, chi è detenuto oltre Tirreno deve rinunciare alla propria famiglia. Una condanna doppia.
L’esecuzione della pena è sottosta ad un principio chiaro, quello della sua territorializzazione. Secondo l’art. 42 ord. pen., “nel disporre i trasferimenti dev’essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie”.
La giurisprudenza sovranazionale e gli atti comunitari condannano questo fenomeno: la Raccomandazione del Comitato dei Ministri della Comunità Europea del 12 febbraio 1987 impone agli stati membri di “mantenere e rafforzare i legami dei detenuti con i membri della loro famiglia e con la comunità esterna, al fine di proteggere gli interessi dei detenuti e delle loro famiglie (parte IV, art. 2, lett. c))”. Altre disposizioni, sempre nella parte IV, ribadiscono e specificano tale principio giuridico.
La politica nazionale è però insensibile alla codificazione del principio della territorializzazione della pena. Il disegno di legge 1185/06 tendente ad inserire nell’ordinamento penitenziario l’art. 13 bis ed a modificare l’art. 42 comma 2, è, infatti, miseramente naufragato. Le intese finora siglate fra la Regione Sardegna ed il Ministero della giustizia sono d’altronde restate lettera morta: i detenuti sardi permangono ancora negli istituti d’oltremare e la loro pena è, di fatto, un supplizio per le rispettive famiglie. Il mondo politico sardo si è pressoché disinteressato al rispetto di tale principio, malgrado alcune timide voci in tal senso (v. la mozione 15/2009 del consigliere regionale M. Meloni e la risoluzione 15/2010 del Consiglio regionale sardo d’iniziativa degli on.li ZUNCHEDDU - URAS - SECHI - ZEDDA). L’associazione “Casa dei diritti” ha perciò deciso di agire in concreto e di assistere quanti vogliano far rientro nell’isola e siano illegittimamente detenuti oltre Tirreno: non fermandosi ai timidi proclami, ma confrontandosi giuridicamente sui diritti dei detenuti sardi nelle aule di giustizia e sostenendo in giudizio le legittime pretese dei propri aderenti!. [3]
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