
21/03/11
Corriere della Sera
Sarà pure propaganda, un abile teatrino organizzato dal governo, ma l'impressione è che a forza di soffiare sul fuoco qualcosa di brutto, da qualche parte, accadrà. Domenica pomeriggio, cimitero dei martiri di Sciara el Sciat, la strada del lungomare. La tv libica ha dato appuntamento alla popolazione per seppellire 26 delle presunte vittime civili della prima notte di bombardamenti su Tripoli. Ma i cadaveri non si vedono, non si vedono feretri, quando arrivano i media internazionali le tombe sono chiuse senza segni apparenti di terra smossa.
Però conta anche quello che c'è fuori. Il cimitero si chiama el-hani, che in arabo vuol dire tranquillità, ma all'esterno trovi migliaia di persone, uomini e donne armati di kalashnikov, che recitano a bassa voce le sure del Corano e poi levano un grido terrificante: «Jihad». Guerra santa.
Sarà pure propaganda, ma a Tripoli giorno dopo giorno sta nascendo un sentimento ostile verso di noi, verso l'Occidente. Forse questi ragazzi con le maschere verdi sul viso e i fucili a tracolla, queste donne vestite di nero con il capo velato e il kalashnikov in braccio fanno parte di un collaudato apparato propagandistico. La sensazione però è che le parole quotidiane del Leader, Muammar Gheddafi, stiano scavando le menti, indirizzandole verso un unico, fosco, tragico destino: quello di morire per la Libia.
Lo ha detto ieri Gheddafi, rivolto all'Occidente: «Siamo pronti ad una guerra lunga e gloriosa. Combatteremo sulla nostra terra palmo a palmo. Voi non ne avete la capacità, dunque pensateci e non rallegratevi troppo presto. Anche se finiranno i nostri uomini, usciranno a combattere le nostre donne contro i cristiani. Perché tutto il popolo libico è in armi: un milione di persone ora ha fucili, missili, mitragliatrici, bombe. Tutto il mondo vede che è in corso una guerra crociata contro il mondo islamico e la Libia in particolare. Ma l'Islam vincerà e voi morirete. Siete dei barbari, dei terroristi, dei mostri, avete attaccato il civile popolo libico che non vi aveva fatto nulla. Ma Dio è con noi e il diavolo è con voi. E il diavolo perderà. Noi vinceremo contro il partito di Satana, con il permesso di Allah».
Il messaggio di Gheddafi conteneva anche dure accuse all'Italia: «Italia ci hai tradito, sei una traditrice, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Ma voi cadrete come sono caduti Hitler e Mussolini. Cadrete dalle vostre poltrone. Abbiamo già sconfitto gli italiani e ora saranno i vostri governi, i vostri regimi, a cadere. È questa l'epoca dei popoli e non delle guerre organizzate. La terra libica diventerà un inferno e vi combatteremo se continuerete ad attaccarci. I popoli sono in ribellione dappertutto, anche nel Golfo Persico. E noi, popolo della Jamahiriya, siamo alla testa della rivoluzione».
Da due giorni Gheddafi manda solo messaggi audio, forse davvero a dar retta alle voci che corrono si è ormai trasferito sui monti di Gharyan, a sud della capitale, in un altro bunker molto più sicuro di Bab al Aziziyah, già colpita dagli americani nel bombardamento dell'86 e ieri sera bersaglio di un nuovo attacco missilistico che ha fatto impazzire la contraerea, con il cielo di Tripoli illuminato a giorno e violente esplosioni percepite ovunque. Qualcuno ha visto alzarsi anche una lunga colonna di fumo. In quella zona due giorni fa si erano concentrati migliaia di «scudi umani», uomini, donne e bambini devoti al Colonnello. Il rischio di una carneficina è dietro l'angolo.
Il regime ieri sera ha annunciato un nuovo cessate il fuoco. Anche se Gheddafi in mattinata aveva usato ben altri toni: «Voi occidentali volete il nostro petrolio ma la nostra terra ci è stata data da Dio. Voi avete fallito in Somalia, in Vietnam, in Iraq e il pur debole Bin Laden vi ha sconfitto in Afghanistan. Ora sarete sconfitti anche qui. Perciò ripensateci e ritiratevi nelle vostre basi. Perché noi siamo gli oppressi e colui che e oppresso vincerà, mentre il tiranno sarà sconfitto. Non permetteremo ai crociati, agli aggressori, di passeggiare per Bengasi». Saif al Islam, il secondogenito del Raìs, nell'ultima intervista concessa ieri a Christiane Amanpour della Abc, esprime concetti più moderati di suo padre: «Non attaccheremo voli civili sul Mediterraneo, il nostro unico obiettivo è quello di liberare il popolo libico dai terroristi, specie a Bengasi, dove i cittadini stanno vivendo un incubo». E ancora: «Siamo rimasti molto sorpresi dai bombardamenti di Obama, noi pensavamo fosse una brava persona e un amico del mondo arabo».
Così, tra tombe intatte e cadaveri invisibili, si procede a tentoni. Ieri il vescovo di Tripoli, Giovanni Martinelli, ha ricevuto una telefonata particolare dall'Italia: «Mi ha chiamato Romano Prodi, che è sempre stato molto aperto nei confronti della Libia rivela il monsignore - Era preoccupato per gli ultimi connazionali rimasti a Tripoli e mi ha anche detto che a suo parere la politica dell'Europa in questo momento non è delle migliori sulla crisi libica, ma che lui del resto non potrà fare granché, con l'attuale governo italiano».
Nel frattempo l'albergo che ospita i giornalisti stranieri è sempre più presidiato dalla polizia: negli ultimi giorni ci sono state incursioni, finora pacifiche, di manifestanti pro-Gheddafi. Ma già ieri mattina, dopo la prima notte di bombe, il clima era cambiato. Qualcuno aveva con sé stavolta anche il kalashnikov e alcune donne velate gridavano ai reporter: «Ve ne dovete andare dalla Libia, voi raccontate solo bugie». Donne e uomini che seguono col satellite la tv italiana e dicono che ci stiamo sbagliando di grosso: «Davvero Berlusconi è convinto che le armi libiche siano in grado al massimo di arrivare fino a Siracusa? - mi ha chiesto uno, che parlava benissimo la nostra lingua Beh, il vostro presidente si sbaglia: noi possiamo arrivare fino a Roma».
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