
Le coppie gay hanno il diritto di sposarsi in chiesa come le coppie eterosessuali – parola del governo scozzese. Dopo mesi di dibattito, ieri l’annuncio: l’esecutivo guidato dallo Scottish national party (Snp) presenterà in parlamento un disegno di legge per l’equiparazione totale delle coppie Lgbt a quelle formate da uomo e donna. Non una proposta per istituire le unioni civili: quelle ci sono già dal 2004, in tutto il Regno Unito. Per il primo ministro Alex Salmond se due persone di sesso diverso possono andare in chiesa e chiedere di venire uniti in matrimonio, lo stesso diritto va garantito anche alle same sex couples.
Ma cosa succede se i due omosessuali in questione vanno a bussare alla porta di una chiesa cattolica? I problemi iniziano qui. Immediatamente dopo l’annuncio sono arrivate le proteste dei vescovi scozzesi e della Church of Scotland (che a differenza di altre denominazioni protestanti rifuta le unioni gay). Una delle preoccupazioni delle gerarchie è che una coppia di omosessuali possa denunciare questo o quel prete per aver rifiutato di celebrare il loro matrimonio.
Ma non c’è nulla da temere, ha rassicurato Edimburgo. La proposta di legge includerà una forma di “obiezione di coscienza”: singoli sacerdoti o intere Chiese che si oppongono “per motivi morali” al matrimonio gay potranno continuare sulla loro linea, senza doversi preoccupare di eventuali conseguenze legali.
Ma le rassicurazioni dei nazionalisti scozzesi non hanno placato le polemiche. La svolta, in effetti, è di quelle radicali: se la legge venisse approvata, lo stato scozzese codificherebbe, in sostanza, il "diritto" del cittadino a sposarsi con chi vuole anche con rito religioso.
Ma si può – obiettano i cattolici – parlare di diritto quando si entra nel campo dei sacramenti? Questione controversa. Anche tra l’elettorato, a quanto pare, se è vero che i sondaggi non restituiscono un giudizio unanime sulle opinioni degli scozzesi. In pratica, le rilevazioni commissionate dalle associazioni di difesa del matrimonio “tradizionale” dicono che due cittadini su tre sono contrari all’innovazione; i sondaggi finanziati dai gruppi “progressisti” consegnano un responso speculare.
La Chiesa cattolica sembra abbastanza convinta che la maggioranza degli scozzesi voterebbe “no” alle nozze gay, tanto che l’arcivescovo di Edimburgo Keith O’Brien, una decina di giorni fa, ha chiesto al governo di non andare avanti col disegno di legge senza prima aver convocato un referendum popolare. Da Holyrood, sede del governo, hanno risposto con un secco no, guadagnandosi il plauso di alcuni gruppi favorevoli al gay marriage. Anche all’interno dell’Snp – un partito “nazionalista” con una forte base popolare e working class – in molti hanno storto il naso. John Mason, personalità di spicco e parlamentare di lungo corso, ha sostenuto che la proposta «discrimina» sacerdoti e Chiese che sono contrari ai matrimoni gay. Gordon Wilson, un ex leader del partito, ha alzato un polverone per aver sostenuto che la mossa è un suicidio politico per l’Snp, che gli «alienerà» molti voti nei quartieri popolari delle città e che rischia addirittura di indebolire la campagna referendaria per l’indipendenza della Scozia (su cui si voterà tra un paio d’anni).
In attesa del responso popolare, la proposta dovrà passare dal vaglio del parlamento. Come andrà a finire? I sostenitori della legge sono ottimisti. Ma un conteggio dei deputati favorevoli e contrari è praticamente impossibile. Una tradizione di Westminster, accettata anche a nord del vallo di Adriano, vuole che i voti sui temi etici siano unwhipped: i whip (i deputati “col frustino”, incaricati di far rispettare la disciplina di partito) rimangono in silenzio e ciascuno vota secondo coscienza. Quanti saranno stavolta gli “obiettori” dello Scottish national party?
© 2012 Europa. Tutti i diritti riservati