
ROMA - Lunedì l’aula di Montecitorio era semideserta e le assenze avevano indispettito il presidente della Camera Laura Boldrini. Ieri, forse anche per capovolgere quella brutta immagine di noncuranza e disinteresse, i deputati sono corsi a occupare gli scranni: c’erano quasi tutti e così la Convenzione di Istanbul del maggio 2011, contro la violenza sulle donne, la violenza domestica e il femminicidio, è passata all’unanimità.
I sì sono stati 545. Il sì definitivo arriverà però soltanto dopo l’approvazione al Senato e comunque, anche allora, la Convenzione non sarà esecutiva fino a quando non verrà ratificata da almeno dieci Stati, 8 componenti del Consiglio d’Europa. Ad oggi sono cinque, Albania, Montenegro, Turchia, Portogallo e Italia. «Questo voto - ha detto Boldrini - è il raggiungimento di un primo, importante obiettivo. Ora il testo passa al Senato, dove ho fiducia che potrà contare su un’eguale attenzione. Si tratterà poi di varare la legge di attuazione della Convenzione che abbia la copertura finanziaria necessaria per permettere la realizzazione dei concreti interventi di sostegno». «Una bella notizia», ha scritto il premier Enrico Letta su Twitter.
Ma che cosa stabilisce la Convenzione di Istanbul? Primo punto qualificante è aver inserito la violenza contro le donne tra le violazioni dei diritti umani. Nella premessa è poi scritto che «la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione delle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione»; viene anche riconosciuta «la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere».
Ecco perché negli 8 articoli di cui è formata la Convenzione si chiede di promuovere la parità, contribuire a eliminare ogni forma di diseguaglianza e discriminazione, adeguare la normativa e sostenere le organizzazioni incaricate di applicare le leggi e di proteggere le donne.
Approvata in coincidenza dei funerali della giovane ragazza di Corigliano Calabro, Fabiana, ammazzata e bruciata viva dal fidanzato, il ministro per le Pari opportunità Josefa Idem ha detto che la ratifica è un «segnale forte e deciso per contrastare il femminicidio e la violenza domestica» e ha aggiunto: «Vorrei che la famiglia di Fabiana e tutte le donne vittime di soprusi sentano il voto della Camera come una reazione efficace del governo e delle istituzioni a ogni fenomeno di violenza di genere».
È un «voto che fa bene e che incoraggia», dice il ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge, «un messaggio chiaro e un gesto simbolico da non sottovalutare», ribadisce la relatrice del ddl di ratifica della Convenzione Mara Carfagna, un voto che «giunge nel momento più adatto», continua Deborah Bergamini (Pdl) a cui fa seguito Michela Vittoria Brambilla, soddisfatta per l’approvazione di un testo che combatte «un fenomeno che è manifestazione di un antico e radicato pregiudizio sull’inferiorità della donna». Ma è un voto che non basta, non ci si può fermare qui, chiede la deputata del Pd Rosa Calipari, che si dice «consapevole che non si tratta di un traguardo, molto abbiamo da fare e dobbiamo agire subito».
Lo chiedono anche le deputate del Movimento 5 Stelle Maria Edera Spadoni e Giulia Di Vita: «Ogni giorno che passa è un bollettino di guerra. Non possiamo permetterci che la ratifica non trovi il suo naturale sbocco nella formulazione e applicazione dei reati previsti dalla Convenzione». La commissione Giustizia della Camera ha approvato all’unanimità un’indagine conoscitiva sull’attuazione delle leggi in materia di violenza contro le donne.
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