
04/01/11
Il Foglio
Sulla Lega nord, che dà evidenti segni di nervosismo, si concentra l’attenzione dei commentatori, che sottolineano ogni differenza di accento nelle esternazioni dei suoi principali dirigenti. In effetti tra i due ministri, oltre a Umberto Bossi, e i due governatori regionali, pare ingaggiata una specie di gara, come se si trattasse già di trovare soluzioni per il dopo Berlusconi e, qualcuno sussurra, per il dopo Bossi. In realtà la posizione del leader della Lega resta saldissima, grazie ai successi che ha saputo assicurare al movimento, il che circoscrive le agitazioni dei suoi collaboratori nell’ambito delle pressioni. Il tema dominante è la difficoltà ad assicurare il via libera delle commissioni parlamentari ai decreti di attuazione del federalismo fiscale. Settori dell’opposizione, a cominciare dal Pd, hanno offerto un percorso preferenziale per il federalismo in cambio di un nuovo governo "di solidarietà", che potrebbe essere guidato da Giulio Tremonti, sempre indiziato ma mai colto con le mani nel sacco ribaltonista, o persino da Roberto Maroni. Roberto Calderoli, che come gli altri e forse più degli altri cerca di ottenere un successo della riforma federalista in ogni modo, alterna aperture al dialogo con minacce elettorali, In realtà, però, la decisione finale spetta solo a Bossi, che avalla tutte le pressioni, impreca contro la "palude romana" (nella quale peraltro galleggia egregiamente da un ventennio), ma soprattutto vuole vedere se l’allargamento della maggioranza alla Camera, promesso da Silvio Berlusconi, è un bluff. In questo caso si riserva di scegliere tra una pressione definitiva verso le elezioni anticipate o altre soluzioni per ora inimmaginabili. Berlusconi sa che se si blocca il percorso del federalismo il suo governo è finito, e questo è l’unico messaggio davvero univoco che viene dalla Lega, il resto sono per ora solo rumori di fondo.
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