
Avevano sperato, perfino creduto in molti che la Rivoluzione del 25 gennaio avrebbe cambiato profondamente l'Egitto anche per loro. La minoranza copta egiziana, stimata nel 10% degli 82 milioni di abitanti del grande Paese arabo, era scesa massiccia nelle strade, pregato fianco a fianco dei «fratelli» musulmani, perfino organizzato il servizio d'ordine per difendere quest'ultimi mentre s'inginocchiavano invocando Allah, in piazza Tahrir, ricambiati quando toccava a loro. E già com'era stato dopo l'attentato alla messa di Capodanno ad Alessandria (23 fedeli uccisi), uno degli slogan dell'intifada era stata «né copto, né musulmano, solo egiziano».
Oggi, a otto mesi dalla caduta di Mùbarak, che per usare un eufemismo ben poco si spese per i diritti dei suoi cittadini copti, la parola che invece più corre nella minoranza è «tradimento». Gli attacchi dei salafiti contro di loro sono continuati in tutto il Paese, così come quelli contro le confraternite sufi di cui poco si è parlato all'estero ma che spesso sono oggi al fianco dei cristiani, lo sono stati anche ieri nelle proteste del Cairo. La giunta militare e le autorità non hanno rivisto le rigidissime norme per permettere la costruzione di nuove chiese o l'ampliamento delle poche esistenti, uno dei motivi di attrito più forte con l'ex regime e ancora alla base degli scontri di ieri, per la chiesa di Assuan. Mentre l'intero Egitto annaspa cercando una nuova via, la sensazione di questa comunità è che le cose non solo non siano migliorate, ma siano sempre peggio. «Almeno 100 mila cristiani sono fuggiti dall'Egitto da marzo, saranno 250 mila entro la fine dell'anno, è in corso una sistematica azione di pulizia etnico-confessionale», denuncia l'avvocato Nagib Gobrail, capo dell'Unione egiziana delle organizzazioni per i diritti umani. Qualcuno contesta le cifre, molti denunciano «provocatori sopravvissuti al vecchio sistema» e i loro tentativi di bloccare ogni rappacificazione dell'Egitto creando il caos, il governo di transizione e la giunta militare s'appellano al «dialogo» tra fedi e comunità in nome dei Nuovo Egitto, che ben altri problemi sta affrontando. Ma è indubbio che mentre il Paese si prepara alle prime elezioni libere, a fine novembre, la questione copta è tutt'altro che risolta.
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