
Ben Bernanke lo aveva detto, i mercati se lo aspettavano: il rallentamento del Pil americano, nel Primo trimestre, non ha spaventato quasi nessuno. Anche se, in realtà, le previsioni indicavano un meno deludente 2% annualizzato, rispetto all'1,8% effettivamente emerso dalle statistiche. «È un effetto transitorio» hanno detto in tanti; e tutti lo sperano. Qualche motivo di preoccupazione, però, c'è. La ripresa americana appare ancora fragile, malgrado i mille stimoli di politica economica che sono stati iniettati a forza nell'economia. A frenarla è bastato l'aumento dei prezzi del greggio, in parte esacerbato da un dollaro debole che rende più conveniente esportare ma innalza le quotazioni del petrolio e dei suoi derivati, e una riduzione delle spese militari, la parte meno produttiva e più inflazionistica dei consumi pubblici. La frenata può davvero finire presto: la spesa per la difesa può ripartire, mentre dovrebbe raffreddarsi l'effetto dei rincari; ma intanto gli investimenti sono bruscamente calati, e il settore delle costruzioni non riprende. È colpa del cattivo tempo, dicono in tanti; ma resta il fatto che eventi occasionali hanno ancora la meglio sui fattori di crescita, prima di tutto sul miglioramento dell'occupazione. Gli Stati Uniti meritano di meglio.
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