
02/09/10
la Repubblica
Nella vita pubblica italiana c'è soltanto una cosa peggiore del teatrino della politica ed è il teatrino del giornalismo televisivo. Prevedibile, fatuo, servile, in mano da vent'anni a una casta d'intoccabili, i domatori dei circo mediatico. Del tutto speculare al ceto politicante e dall'ego ancor più arroventato. Non meno del conflitto d'interessi o delle leggi ad personam, il giornalismo televisivo all'italiana è un'anomalia assoluta per l'Occidente. Si spiega quindi il sollievo e perfino 1' entusiasmo che ha salutato il ritorno alla normalità proposta dal Tg7 di Enrico Mentana. Mentana non è certo un nome nuovo e non ha cercato chissà quale formula di rottura per lanciare il suo notiziario. Non ha giocato il ruolo della vittima del sistema, nonostante l'esilio dallo schermo. Non si propone al rientro come eroe della controinformazione. Il suo tg non è nemmeno politicamente troppo coraggioso o controcorrente.
È soltanto un telegiornale normale, un po' vecchio stile, ma rapido nello stile del direttore, asciutto, con le notizie importanti trattate da notizie importanti e le baggianate come tali. Con molta politica, perché non è vero che non interessi più agli italiani. Quello che annoia e avvilisce è la propaganda travestita da informazione politica. Tanto è bastato per far gridare al miracolo, triplicare gli ascolti e far spostare centinaia di migliaia di spettatori dal Tg1 e dal Tg5. Due notiziari ridotti ormai ad altrettante tende beduine dell'informazione, suk del potere dove si vendono bizzarrie per nascondere interessi di parte.
La rivoluzione di Mentana è tutta qui, nel mettere la rottura fra Berlusconi e Fini davanti alle sconvolgenti novità sul fronte del caldo estivo, delle mode di spiaggia e dei cuccioli abbandonati. Il successo immediato del Tg7 non si spiega con la constatazione banale che Enrico Mentana è un professionista ben più solido dei Minzolini e Mimun, beneficiati dal corto circuito politico-professionale di gaddiana memoria. Ma con il fatto che il pubblico ha riconosciuto un prodotto cui è da sempre affezionato: «toh, un vero telegiornale!». Gli umori del pubblico televisivo, soprattutto in Italia, rivelano sempre tendenze più profonde della società. Di questo ha vissuto il fenomeno Berlusconi. Ora c'è soltanto da augurarsi che la voglia di normalità segnalata dal trionfale esordio del nuovo Tg7 sia l'avviso che la lunga stagione delle anomalie, ormai esplosa in una specie di Barnum quotidiano, sta per finire. Ed è un segnale che arriva proprio dal luogo dove tutto è cominciato, la televisione. A Mentana è toccato ancora una volta il ruolo di apripista. Diciannove anni fa il suo Tg5 fu il primo di fatto a rompere il quarantennale monopolio dell'informazione Rai.
Oggi tocca ancora a un suo notiziario rompere la ventennale stagione del duopolio, sia pure dopo l'ottimo esperimento del notiziario di Sky. E la dimostrazione che lo spazio di mercato per un terzo (e magari un quarto o un quinto polo televisivo) c'è sempre stato in questi anni. Ed è stata la convenienza del ceto politico, ma ancora di più la mancanza di coraggio dei nostri imprenditori, a negare la libertà di telecomando ai cittadini. Il primo a rompere il tabù è stato non per caso un editore venuto da lontano, Murdoch. Oggi, con molti anni di ritardo, lo fa la rete di proprietà di Telecom, che aveva a lungo usato la minaccia di terzo polo televisivo come merce di scambio con la politica. E accade perché il potere dominante, l'universo del berlusconismo, è in crisi. Nasce tardi, il terzo polo, ma in un momento decisivo, alla vigilia di una lunga e probabilmente devastante campagna elettorale. Se si prova a immaginare che cosa saranno capaci di fare nei prossimi mesi i telegiornali di corte, non è difficile prevedere per Mentana una valanga di ascolti.
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