
E Dopo la Grecia, l’Italia. Questo è ciò che pensa parte dell’opinione pubblica estera. La crisi di Atene pone anche il nostro Paese sotto l’occhio dei mercati. Preoccupano due fattori: l’ammontare del debito pubblico, circa 1.800 miliardi di euro, e l’eventuale instabilità politica derivante dagli scontri nel Pdl. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha tranquillizzato due giorni fa. «Le tabelle del Fondo monetario internazionale vedono l’Italia a fianco della Germania, e molto meglio di tanti altri Paesi, Stati Uniti compresi», ha detto. Uno sviluppo negativo potrebbe giungere se ci fosse una crisi di Governo con l’ascesa del centrosinistra. Il cambio di rotta nella politica economica sarebbe mal digerito dagli investitori.
Il primo ad attaccare l’Italia è stato il settimanale britannico The Economist. Una settimana fa ha parlato apertamente di «grandi pericoli» intorno al debito pubblico italiano. Colpa della miscela di bassa crescita e indebitamento elevato. Le previsioni di Fini e Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) lasciano poco spazio operativo. In particolare, fa riflettere il rapporto debito/Pil: siamo intorno al 115,8 per cento. E non ci saranno riduzioni sostanziali nel breve periodo. Nel 2011 saremo al 117,8 per cento. Ma cosa pensano i mercati?
Al Riformista Brian Coulton, analista sul debito sovrano italiano per Fitch, dice che l’Italia ha avuto alcuni punti a suo favore durante la crisi globale. Dato che il nostro Paese non è stato particolarmente colpito dalle svalutazioni bancarie, gode di «bassi livelli di indebitamento del settore privato». Inoltre «la mancanza della necessità di salvataggi bancari» ha influito positivamente sui bilanci statali. Per Fitch, inoltre, non ci sono problemi di breve termine. «Nessuna novità per quanto riguarda il rating, parlare di crisi pare prematuro.
Quanto al debito la situazione è sotto controllo, vedremo il prossimo bilancio anche alla luce dell’evoluzione della situazione in Grecia», dice. Più che altro, il rischio è quello della stabilità politica. Un nuovo assetto di linea economica potrebbe essere fatale per il giudizio futuro.
Simile la visione di un’altra agenzia di rating, Moody’s. Per Alexander Kockerbeck, analista di Moody’s, «su un arco temporale di oltre 10 anni l’Italia è riuscita a invertire e stabilizzare il debito pubblico in rapporto al Pil nominale grazie alla riduzione dei costi di finanziamento del debito e soprattutto alla generazione di ampi avanti primari». Moody’s spiega che fra 2007 e 2011 il debito italiano è cresciuto del 14,3 per cento. Più ampia l’espansione dell’Irlanda (71 per cento), della Grecia (40 per cento), Spagna
(38 per cento) e Portogallo (27 per cento).
Al Riformista un analista che ha chiesto l’anonimato spiega che «nel caso ci dovesse essere un cambio radicale al vertice governativo, i mercati dovrebbero correggere alcune previsioni». Si tratta però di un elemento considerato molto remoto. Un cambio politico in questa fase congiunturale è percepito come un’ipotesi lontana. Tuttavia, il mood della City e di Wall Street è che se il centrosinistra dovesse andare al Governo ci potrebbero essere differenti previsioni sull’Italia. Se emergesse una politica basata sull’incremento della spesa pubblica, il rischio è quello di un abbandono da parte dei mercati. Attualmente l’andamento dei titoli di Stato del Tesoro è su livelli quasi ottimali, soprattutto nel confronto con il Regno Unito. Il differenziale con i bund tedeschi, storico benchmark di solidità, non ha fluttuato molto dall’inizio della crisi. «Di fatto gli operatori finanziari sanno già cosa attendersi dall’Italia», dice un analista.
«Non ci saranno particolari problemi di raccolta alle aste di collocamento dei titoli italiani, se tutto l’assetto rimane tale a quello odierno. in cui c’è un contenimento delle uscite», continua. Non preoccupa nemmeno la bassa crescita.
Il rigorismo di bilancio portato avanti da Tremonti negli ultimi due anni è stato quindi ben accolto dalla finanza internazionale. UniCredit, nel suo studio "Italy Monitor" dello scorso 30 marzo, ricorda qual è l’attuale stato del nostro deficit, cioè il rapporto fra entrate e uscite in un dato anno, che nel 2009 è stato del 5,3 per cento rispetto al Pil. Secondo l’analisi il disavanzo «è più basso non solo rispetto a quello relativo all’intera area euro (circa 6 per cento), ma è anche di gran lunga inferiore rispetto a quello dei paesi che recentemente sono stati soggetti alla pressione del mercato (Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia, che presentano un deficit pubblico tra il 9 e il 13 per cento del Pil)». E proprio questo fattore è considerato di stabilità.
Differente l’opinione di altre banche. Una recente analisi di Deutsche Bank, "Public debt in 2020", mette in evidenza il paradosso italiano. Il rapporto fra debito e Pil in Italia «rimarrà a un livello simile a quello odierno», dice l’istituto di credito tedesco. Più duro il giudizio di Bank of America. Da un rapporto della scorsa settimana emerge che non sono pochi i timori su un’escalation dei mercati contro l’Italia. Se «venisse a mancare la stabilità politica, lo scenario sarebbe più di difficile gestione e i nostri investitori
potrebbero optare per altri titoli», dice BofA.
L’attuale quadro macroeconomico italiano non permette errori nella gestione del debito pubblico. I mercati hanno più volte lodato l’operato di Tremonti. Ma sarebbero pronti a voltare le spalle all’Italia nel caso di un repentino mutamento della linea economica dei prossimi anni.
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