
Colpisce l’episodio di ieri. Berlusconi che dopo settimane di assenza pubblica si reca in Sicilia per un sopralluogo sulle coste dove approdano i rifugiati. E che rientra in gran fretta a Roma, saltando la conferenza stampa, per rinchiudersi a Palazzo Grazioli con gli avvocati: senza più aprir bocca per il resto della giornata. E il suo silenzio inquietante è lo stesso di altri protagonisti dello psicodramma. Tace il Quirinale, ad esempio, in attesa di eventi. E tace per ora Umberto Bossi, il grande alleato che dovrà decidere prima o poi dove collocare la Lega. È questo che ci attende nelle prossime settimane? Un presidente del Consiglio asserragliato in un bunker, impegnato nella battaglia finale con i magistrati, mentre l’Italia è su tutte le prime pagine dei giornali internazionali e non per nobili ragioni?
Peraltro non ha torto Marco Pannella quando ricorda che le elezioni anticipate si svolgerebbero in questo momento con la vituperata legge che «nomina» i parlamentari scelti dalle segreterie dei partiti. Ma tant’è. Il sistema politico arriva all’appuntamento cruciale in condizioni di profonda debolezza e questo è uno degli interrogativi che gettano una luce sinistra sul dopo-Berlusconi. Uno scenario che, in assenza di elezioni a breve termine, prenderebbe forma con un’impronta tutta giudiziaria. Un’ulteriore anomalia. A questo punto la speranza è di limitare i danni dello scontro istituzionale. La logica e il buonsenso suggeriscono che Berlusconi si presenti ai giudici il 6 aprile e gestisca il processo sforzandosi di smontare le accuse. Forse si tratta solo di un’illusione. Ma il premier non può non rendersi conto che il quadro si va deteriorando e che troppi fronti sono aperti. Anche la Lega, che pure sostiene l’alleato, si sta ponendo il problema del «dopo». Non è un tradimento, ma un atto di realismo. Che passa presto o tardi attraverso il voto anticipato.
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