
Più 0,1 %. Un'inezia. E tuttavia per ritrovare un altro segno "più" nella produzione industriale italiana bisogna andare indietro di ben 21 mesi. all'aprile 2008. Di qui il generale sollievo con il quale è stato accolto il comunicato Istat sulla produzione di gennaio. Ma la parola d'ordine resta una sola: prudenza.
L'aumento dello 0,1% si riferisce infatti ai dati anno su anno e dipende anche dal fatto che a gennaio 2009 si è lavorato un giorno in più. Già perché il dato assoluto registra un calo mensile del 3.3% (e nel gennaio 2009 la crisi era in pieno svolgimento). Questa cifra viene tuttavia surclassata da un altro dato positivo: quello mensile. A gennaio, infatti, le fabbriche italiane hanno sfornato merci in quantità superiore al 2.6% rispetto a dicembre. Un po' tutti i settori hanno contribuito al miglioramento: legno e carta hanno fatto registrare un +2,6%; il settore petrolifero è salito del 5%; i farmaceutici dei 14%; l'elettronica del 9.5% e le apparecchiature elettriche del 3,3% (per l'Anie è un'inversione di tendenza); i macchinari del 4,7%; i mezzi di trasporto del 7,4% (+44% per le auto). Unici settori con il segno meno: il tessile (-0,1%) e le miniere (-5.5%). Tutto questo non basta per iniziare a suonare le trombe della ripresa. Infatti ieri l'Istat ha rivisto al ribasso (-5,1%) l'andamento del PiI 2009 e il Centro Studi di Confindustria ha diffuso stime in chiaroscuro prevedendo - per la produzione industriale - un ulteriore aumento mensile dello 0,8%. E questo fa ritenere al Csc come «probabile un rimbalzo del Pil nel primo trimestre 2010 anche se nell'anno sarà difficile superare una crescita dell'1 %».
Non a caso ieri il presidente della Confindustria. Emma Marcegaglia, in una intervista al Tg2 si è detta delusa. «E ora di dare un taglio alle polemiche preelettorali - ha detto la Marcegaglia - e di parlare di come uscire dalla crisi».
Note poco positive arrivano anche dal rapporto Ocse sulla crescita 2010. Che classifica l'Italia al ventesimo posto fra i 30 Paesi Ocse per Pil pro capite e incita il governo ad intervenire con riforme su alcuni punti deboli, come la scarsa produttività e l'eccessiva pressione fiscale sul
lavoro.
Per l'Italia, spiega l'organismo internazionale. gli effetti a lungo termine della crisi potrebbero costare un taglio di 4,1 punti del Pil, di cui 1,9 causati dal deterioramento dell'occupazione e 2,2 dall'aumento del costo del capitale. Un impatto più alto di quello previsto per le principali economie dell'Unione europea (Francia -2,8, Gran Bretagna -2.9, Gennania -3,9). Tra i principali handicap italiani c'é la scarsa produttività della manodopera.
Il gap in termini di Pil per ogni ora lavorata è in effetti quasi raddoppiato negli ultimi 20 anni, da 15% nel 1990 a quasi 30% nel 2009. Altro settore su cui l'Italia deve intervenire è la pressione fiscale. «Vanno ridotte le imposte sui salari», ha detto il capo economista Ocse Pier Carlo Padoan. L'Ocse infine consiglia di porre fine ai condoni e critica lo scudo fiscale.
© 2010 Il Messaggero. Tutti i diritti riservati