
Il caso Lusi, che continua a lasciare sconcertati gran parte dei parlamentari (anche se aumentano coloro che lanciano velati dubbi sul reale comportamento dei maggiorenti ex margheritini), ha timidamente indotto taluni politici a meditare sul fiume di denaro che alimenta i partiti. Se, com'è ovvio, i radicali hanno ricordato le loro popolarissime campagne referendarie, risalenti addirittura agli anni Settanta, e sono tornati alla carica chiedendo la soppressione del finanziamento pubblico, anche altri hanno fatto notare la necessità di riscrivere la legge (per esempio Vannino Chiti, vicepresidente democratico di palazzo Madama). Mario Adinolfi, personaggio sempre originale nel mondo del Pd, è stato drastico, senza mezze parole: «Il finanziamento pubblico è criminogeno. Troppi soldi ai partiti».
Una prima riforma di moralizzazione, di chiarificazione e anche di logica, dovrebbe essere quella dí portare il finanziamento al suo teorico scopo di rimborsare le spese elettorali. Quindi, le erogazioni dovrebbero non già essere ripartite sull'intero periodo della legislatura (prima delle modifiche dell'anno scorso, addirittura sul quinquennio, indipendentemente da scioglimenti anticipati delle Camere), bensì venire saldate in una sola rata, dopo le avvenute elezioni: politiche, europee, regionali e referendarie. Beninteso, l'importo andrebbe drasticamente contratto e calcolato esclusivamente sui voti validi dei partiti che partecipano alla ripartizione, non sul totale degli elettori.
Come dimostra, anzi, come conferma la vicenda Lusi, infatti, le somme introitate dai movimenti politici vanno ben oltre, anche di dieci volte, le spese elettorali messe a bilancio, fenomeno denunciato dalla Corte dei conti perché abnorme. Non solo: la frequente scomparsa di partiti che hanno diritto al finanziamento porta alla sopravvivenza degli stessi al solo scopo di gestire le somme già introitate o ancora da introitare. Che tali somme, per ingenti che esse siano, non abbiano la funzione di colmare le stesse spese normali dei movimenti politici l'attesta l'uso sconsiderato e personalistico dei 13 milioni di euro che il senatore Luigi Lusi non ha certo usato per svolgere attività pubbliche. Assegnare una sola rata in luogo di cinque non solo permetterebbe di ridurre dell'80% l'esborso, ma eviterebbe questa incredibile situazione di vitalità esclusivamente finanziaria di partiti disciolti.
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