
Posti quasi tutti esauriti nell'aula di Montecitorio alle prime votazioni sulla legge Bressa-Calderisi che dimezza i rimborsi elettorali (da 182 a 91 milioni di euro, già nel 2012) e che abbatte del 5% il finanziamento pubblico se il partito non rispetta le quote rosa (almeno un terzo di donne). Presenti alla Camera praticamente tutti i leader: Bersani, Di Pietro, Casini, D'Alema, Maroni. Mancano soltanto Alfano e Berlusconi. Ma i banchi del Pdl sono pieni e il partito vota quasi compatto per la legge che già a giugno (dopo l'approvazione del Senato) potrebbe sortire i primi effetti: con il dimezzamento della rata di luglio, l'ultima in pagamento per la legislatura iniziata nel 2008. Il passo è storico per il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: «Avevo detto dimezzamento e ci siamo arrivati. Si comincia a vedere qualche fatto» anche se «per noi questa misura vuol dire tagliarci un braccio...».
Pd, Udc e Pdl hanno blindato il testo mentre una nuova opposizione (Lega, Idv, Radicali, Noi Sud) ha provato a impallinare la legge con una serie di emendamenti che miravano ad abrogare del tutto il finanziamento pubblico. L'articolo 1 l'architrave del provvedimento che riduce a 63.700.000 euro i rimborsi elettorali e fissa a 27.300.00o euro il tetto erogato a titolo di cofinanziamento è stato approvato con 372 voti favorevoli mentre i contrari sono stati 97 e gli astenuti 17. Eppure nel Pdl c'è stato più di qualche mal di pancia: «Con il voto di oggi ci condanniamo alla sconfitta», ha detto Isabella Bertolini, che insieme a Giorgio Stracquadanio ha presentato un emendamento per abrogare del tutto il finanziamento: «Di questo passo prepariamoci a fare le valigie e a lasciare campo libero a Beppe Grillo. Ritengo che si possa fare politica con un finanziamento non pubblico dove i cittadini siano i veri giudici del comportamento dei partiti».
In aula si sono viste anche le scintille tra il leader della Lega Bobo Maroni e il deputato democratico Roberto Giachetti che ha accusato il Carroccio di «fare la morale agli altri partiti dopo aver investito i rimborsi elettorali in diamanti». L'ex ministro dell'Interno ha risposto, rivolto ai banchi del Pd, con un plateale applauso dal sapore polemico. Tutto, comunque, è finito lì e anche le altre proposte di modifica al testo blindato dai segretari Alfano, Bersani e Casini non sono passate. La legge prevede che lo Stato rimborsi ai partiti 0,50 euro per ogni euro ricevuto come donazione. Sul punto Linda Lanzillotta (Api) ha posto, senza successo, una questione molto seria: «Se l'articolo 49 della Costituzione stabilisce che "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti", dai vantaggi del cofinanziamento dobbiamo eliminare le imprese per lasciare solo le persone fisiche». Hanno condiviso questa impostazione - contro i pericoli del collateralismo anche Massimo Donadi (Idv), Pierluigi Maritini (Udc) e Carmelo Briguglio (Ppi). E anche il veltroniano Salvatore Vassallo ha insistito, pur ritirando i suoi emendamenti, affinché si affronti prima il dibattito sull'attuazione dell'articolo 49: «Sarebbe stato saggio anteporre alla disciplina del finanziamento una definizione delle ragioni e delle finalità del finanziamento».
Sesa Amici e Barbara Pollastrini del Pd hanno espresso soddisfazione per l'emendamento che prevede una riduzione del 5 per cento dei contributi pubblici per quei partiti che si presenteranno alle elezioni con un numero di candidati dello stesso genere superiore a due terzi del totale. E anche il sindaco di Roma, Gianni Memanno, ha accolto «con soddisfazione il voto espresso dalla Camera».
La Lega, invece, sul voto di ieri ha deciso di costruire una campagna contro gli altri partiti: «E scandaloso che tranne noi e l'Idv tutti gli altri abbiano votato contro í nostri emendamenti finalizzati ad abrogare il finanziamento pubblico. Metteremo il nome di chi ha votato contro sulla prima pagina della Padania». E sono 412 nomi.
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