
Reduce dal trionfo elettorale, la Lega batte cassa e detta condizioni. La prima e più importante: sedere alla cabina di regia delle riforme costituzionali. Calderoli prima e Maroni dopo, nell’arco di pochi giorni, fissano i paletti, indicano le priorità, chi dovrà gestire cosa. Ipoteca che però nel Pdl in pochi sono disposti a concedere. La ripresa post pasquale è segnata così da fibrillazioni interne alla maggioranza, alle quali in serata pone rimedio il premier Berlusconi, in vista dell’ufficio di presidenza del Pdl in programma oggi.
Il consueto caminetto dì Arcore con l’amico e alleato Umberto Bossi questa volta è qualcosa di più. Un vertice a tutto tondo, che segna una prima intesa, pur interlocutoria, sul cammino delle riforme e sulla poltrona del ministero dell’Agricoltura lasciata libera dal neogovernatore veneto Zaffa. Il leader del Carroccio si presenta col figlio Renzo, appena eletto consigliere in Lombardia, e con lo stato maggiore leghista: il ministro Calderoli, il governatore piemontese Cota, il sottosegretario Aldo Brancher. Ma a rappresentare il Pdl ci sono anche i coordinatori Bondi, Verdini e La Russa.
In cima all’agenda ci sono le riforme. Il presidente del Consiglio non fa una battaglia di principio sulla «regia». D’altronde, Bossi è pur sempre il ministro competente. Né intende porre veti sul semipresidenzialismo alla francese sponsorizzato dagli alleati e che per altro piace anche a Fini. Berlusconi ha tenuto invece il punto sull’affidamento a un uomo del suo partito, con molta probabilità
Giancarlo Galan, del dicastero all’Agricoltura rivendicato finora dallo stesso Carroccio. Si chiude così, nel salotto di Villa San Martino, una giornata che si era aperta con le scintille. In un’intervista al Corriere della Sera, il ministro Maroni aveva lanciato l’«opa» leghista sulle riforme. «Semipresidenzialismo alla francese, taglio del numero dei parlamentari e separazione delle carriere dei giudici. Ma soprattutto, un mandato alla Lega per fare una proposta complessiva sul nuovo assetto costituzionale: siamo pronti e abbiamo la capacità per farlo». Delegando poi al Guardasigilli Alfano il capitolo sull’assetto della giustizia e al presidente della Camera Fini il compito di «dare un contributo sul presidenzialismo». Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato Pdl, replica piccato: «Pare eccessivo dire che un progetto come la riforma costituzionale debba avere solo una regia. Noi non rinunciamo ad essere protagonisti». Concetto che da lì a qualche ora confermano i coordinatori del partito e il finiano Bocchino: «E’ il Pdl la locomotiva avendo preso tre volte i voti della Lega e un ruolo da pivot spetta a Fini». L’Udc è disponibile a discutere, Di Pietro assai scettico. Nella serata di Arcore invece non si è parlato della lunga corsa al Comune di Milano, che con un anno di anticipo Maroni ha rilanciato, rivendicando per Bossi la poltrona che è stata finora della Moratti. Il sindaco non si scompone. E replica gelido: «Trentasei a quattordici», come i punti conquistati dal Pdl a Milano alle regionali rispetto alla percentuale leghista.
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