
Quando alle sette di sera il presidente di turno Rocco Buttiglione chiama l’aula a votare sul punto due all’ordine del giorno, l’assegnazione alla Commissione Affari Costituzionali in sede legislativa della legge “ABC” sui controlli dei bilanci dei partiti, i giochi sono ormai fatti. E si concluderanno di lì a poco con un voto che assegna l’iter veloce alla legge più attesa di tutte; un voto che però verrà smentito a breve, forse già oggi, grazie al regolamento che attribuisce il diritto al 10% dei deputati di opporsi alla legislativa riportando in aula il provvedimento dopo un normale cammino in commissione.
Da due ore infatti la Lega ha già in tasca oltre 70 firme per stoppare l’iter veloce, raccolte con la complicità di alcuni peones del Pdl e non solo. Ma non le tirerà fuori fino a sera e al momento del voto recita la sua parte: invoca di rimettere all’aula «questa scelta importantissima» per bocca di Raffaele Volpi. Il quale si alza dal suo scranno e fa appello a «tutti i colleghi che vogliono ridare credibilità alla politica di votare no senza ricorrere all’alibi di nascondere in commissione un provvedimento spurio». I Radicali hanno già ottenuto da Fini la diretta Tv dei lavori in commissione per dare al tema della trasparenza dei partiti il massimo di visibilità. E quindi non si oppongono alla richiesta dei partiti di maggioranza.
Il Pd, come prevedibile, si dilania per tutta la mattina in un’assemblea del gruppo, «dove molti hanno giocato a fare i grillini sul taglio dei fondi», racconta un deputato. Mentre Bersani è chiuso al partito per una serrata riunione di segreteria. Da cui esce dopo aver deciso di tagliare del 30% le spese per la campagna elettorale, pronunciando una sentenza anti-Lega, perché «chi non vuole i controlli evidentemente ha qualcosa da nascondere». Nel teatro di scontro in aula, il Pd dunque contrattacca, con Bressa che sferza il Carroccio, accusandolo di non volere i controlli sui bilanci 2010 e 2011: «Non c’è nessun alibi, se ci fosse stata questa commissione per i controlli, queste ignominie dei tesorieri sarebbero state verificate e si sarebbe impedito ciò che è successo». «Non possiamo accettare lezioni da chi non rinuncia all’ultima tranche del rimborso e da chi proviene dalla Margherita», reagisce il leghista Fedriga, che chiede il voto elettronico.
L’aria si surriscalda ed è solo un leggero venticello rispetto a quel che sta succedendo fuori dal Palazzo. «Noi non ci opponiamo alla sede legislativa, ma non siamo d’accordo sui contenuti: se qualcuno ha rubato 100 mila euro rischia una mula di 300 mila euro? No, se qualcuno ha rubato deve andare in galera», alza la posta il dipietrista Evangelisti. Cercando di non perdere il passo dietro alla corsa di Grillo, che ormai procede sfrenato nella sua campagna contro «i partiti insaziabili come metastasi», che hanno bisogno di «una pena esemplare, di essere messi sotto processo dalla nazione che hanno distrutto».
Intanto le forze politiche si dividono sul «quantum», cioè sull’entità dei rimborsi, già tagliati da una serie di norme dei precedenti governi, ma che ora tutti vogliono sforbiciare ancora. Il Pd vuole inserire nella legge sulla trasparenza anche il congelamento dell’ultima tranche, senza però rinunciarvi, ed un taglio dei rimborsi di un altro 30%. Il Pdl ci sta ragionando e con Cicchitto fa sapere che «si può intervenire ulteriormente con altri tagli, ma i contributi dello Stato non possono essere eliminati del tutto. Perché il problema del finanziamento dei partiti non può essere confuso con alcune degenerazioni che noi, come altre forze politiche, non presentiamo». «Attenzione a non fare poi che i partiti vengano fatti solo da chi ha i soldi tipo Berlusconi», mette in guardia Maroni. Ricordando che la Lega «è cresciuta senza il finanziamento ai partiti, perché era un grande forza capace di stare in mezzo alla gente e io voglio che la Lega torni lì».
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