
La rimonta elettorale a cui si appresta Silvio Berlusconi è un'impresa forse disperata che egli affronterà adoperando tutti gli strumenti, si può essere sicuri. Ma forse dentro di sé l'ex premier conta soprattutto su qualcosa che non dipende da lui. Conta sull'aiuto dei suoi avversari: aiuto che ogni volta gli è puntualmente arrivato e che anche stavolta sembra sul punto di non mancare.
L'aiuto che consiste nel fare di Berlusconi stesso, della sua persona, il centro ossessivo della campagna elettorale, nel prendere ogni pretesto per metterlo sotto accusa, nel trasformare le elezioni in un giudizio di Dio sul Cavaliere. Magari con l'involontario fiancheggiamento di qualche Procura della Repubblica. Già in passato questo si è rivelato il modo migliore per galvanizzare l'uomo e quell'Italia che ne apprezza la ruvida personalità; fatta perlopiù di gente non sofisticata che di Ruby e delle «olgettine» se ne infischia pensando che l'Imu è ben più importante.
Quell'Italia digiuna di Montesquieu che per esperienza secolare è portata ad avere della giustizia un'idea alquanto diversa da quella del professor Zagrebelsky, e alla quale non sembra poi tanto assurdo e riprovevole associare alle aule dei tribunali un sentimento come minimo di diffidenza.
Si tratta di un'Italia per nulla stupida che è giusto presumere abbia capito benissimo la misura del fallimento del governo Berlusconi di fronte alla crisi economica. Ma spesso è pure quella che sta pagando il prezzo più alto alle dure difficoltà in cui ci troviamo: e perciò è tentata di dare ascolto anche alle più sballate promesse che da qui a febbraio il Cavaliere saprà escogitare. Bene: il miglior favore che gli avversari possono fare a quest'ultimo è di opporre alle sue promesse, invece di un proprio autonomo e ragionato «no», la litania dell'Europa e del suo «non si può», il cipiglio di Barroso, i «mercati», lo «spread», quello che dice Bruxelles, quello che pensa Berlino.
Sarebbe un errore marchiano (lo stesso in cui è caduto ripetutamente il governo Monti): il no alle promesse strampalate non deve apparire dettato dall'obbedienza a cose o persone fuori dai nostri confini. Dev'essere un no tutto pensato e ragionato in casa nostra. Guai, insomma, se si lasciasse a Berlusconi la possibilità di sfruttare il sentimento nazionale, che non solo è ancora forte nelle grandi masse (è permesso rallegrarsene?), ma è in grado come nient'altro di mettere pericolosamente insieme motivi di destra e di sinistra. Al qual proposito, perché mai la Sinistra, così ricca di ottime amicizie fuori d'Italia, non trova modo di avvertire il Financial Times , l 'Economist , le Monde , il presidente Schultz, e quant'altri, che a questo punto ogni loro ulteriore bordata contro Berlusconi, lungi dal danneggiarlo ulteriormente, rischia invece di servire solo a farlo apparire come il coraggioso paladino in guerra contro l'arroganza straniera?
C'è un ultimo enorme favore elettorale che si può fare a Berlusconi: quello di concedergli l'esclusiva della contrapposizione alla Sinistra (che per lui vuol dire giocare la carta dell'anticomunismo). Una contrapposizione, come si sa, che ha tuttora buoni motivi, ma che in Italia ha soprattutto una grande storia alle spalle e anche perciò un grande richiamo. Non fare questo favore a Berlusconi è affare del Centro, evidentemente. E dovrebbe essere un affare ovvio, mi pare: se il Centro non è contro la Sinistra oltre che contro la Destra, infatti, che razza di Centro è mai?
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