
La chiusura di Malagrotta e l’arresto di Cerroni segnano un’alba nuova, aprono l’epoca - forse - in cui Roma capitale comincerà a occuparsi della sua immondizia. Roma oggi contempla ciò che non ha voluto (non abbiamo voluto) vedere per oltre 30 anni: la gestione di un’opera immensa consegnata a un uomo solo, al quale non si poteva chiedere la continua capacità di adeguarsi ai tempi. Non è stata colpa di Cerroni, ma degli amministratori che dovrebbero in teoria fare il meglio per la città che è stata loro affidata e preparare il meglio. Cerroni amministrava la spazzatura di tre milioni di persone nella buca, diventata poi collina, di Malagrotta e nel frattempo l’Ama dava le prove d’inefficienza di tutte le municipalizzate romane, fino al culmine (era Alemanno) dell’inchiesta aperta per 841 assunzioni di persone senza titoli né specializzazioni
Così oggi Roma è immersa nel «modello Napoli». Avevamo la discarica più grande d’Europa, minacciata di sanzioni dall’Europa. Da ottobre deteniamo un nuovo record: neanche un grammo della nostra spazzatura si ferma in città. Sono stati identificati cinque o sei siti per una discarica nuova di zecca, tutti poi cancellati, per proteste. Oltre metà delle 3.500 tonnellate giornaliere vengono «trattate» (da impianti pubblici e di Cerroni), diventano combustibile e vengono trasportate in termovalorizzatori di San Vittore nel Lazio, di Brescia, di Palma de Mallorca. Il rimanente finisce in discariche della provincia di Torino e di Forlì. Con questa «esportazione» quotidiana, Roma oggi spende 115 euro a tonnellata, 48 in più rispetto alla gestione Cerroni, per un totale di 70-80 milioni in più l’anno.
La prima rivoluzione dovrebbe essere culturale, riguarda la testa di tutti. Già il nome «rifiuti» è sbagliato. La crisi e le risorse mondiali calanti impongono di rifiutare il meno possibile, di trasformare il più possibile. Giustamente ieri il sindaco Marino ha puntato il suo discorso sulla raccolta differenziata, promettendo un ambizioso 65 per cento entro il 2015 (siamo sotto al 40). Con questa parola, «differenziata», si sono fatti scudo in molti, senza risultati apprezzabili. Siamo indietro, indietrissimo, rispetto ad altre capitali, ma anche rispetto a paesi come Ciampino, che realizza i176 per cento. Ci sono, in città, diversi modelli di raccolta differenziata, nessuno convincente. Mai si è passati attraverso un coinvolgimento dei cittadini, la spiegazione che il rifiuto non è un sacchetto di cui liberarsi, ma una responsabilità, da affrontare come un dovere civico. L’altro passo è la consapevolezza che ciò che si butta può essere una risorsa per le finanze pubbliche. Oggi Roma non tratta in proprio nemmeno i materiali differenziati, li spedisce in Abruzzo: nel 2009 una tonnellata di multimateriale fruttava quasi 21 euro, nel 2013 ne frutta 11. Secondo il Consorzio nazionale imballaggi, con la differenziata al 46-47 per cento, Roma potrebbe vendere imballaggi per venti milioni di euro contro i tre milioni di oggi. I radicali Magi e Iervolino propongono un’anagrafe dei rifiuti per sapere da dove vengono e dove vanno a finire. Anche l’accoglimento di questa idea sarebbe il segno di un tempo nuovo.
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