
29/04/10
Terra
Sono duri i toni con cui questa volta si è modulato il linguaggio diplomatico del Comitato europeo contro la tortura (Cpt). Biasimo e raccomandazioni stringenti diretti al governo italiano, colpito nel cuore della sua politica di contrasto all’immigrazione clandestina e di controllo delle frontiere. Il rapporto pubblicato ieri dall’organismo europeo, basato sulle visite effettuate nel nostro Paese dal 27 al 31 luglio 2009, non fa sconti e invita a riesaminare la prassi dei respingimenti. «La politica dell’Italia di intercettare migranti in mare e obbligarli a ritornare in Libia - si legge nel documento - viola i principi sanciti dalla Convenzione europea per i diritti umani». Ma ad essere contraddetti sono anche gli obblighi del soccorso e assistenza in mare, il diritto a garantire la protezione internazionale, di fornire le cure appropriate, di proteggere chi, in conseguenza della deportazione in un Paese non sicuro, risulta maggiormente esposto al rischio di torture e trattamenti inumani (principio di non refoulement). Inoltre, non meno significativo,
il Comitato ha sottolineato che è stato leso anche «l’obbligo a carico delle autorità nazionali di fornire le informazioni utili all’indagine, come previsto dai doveri di collaborazione stabiliti nella Convenzione». Infatti la delegazione, che ha visitato quattro centri di trattenimento per migranti irregolari e minori stranieri tra cui il Cie romano di Ponte Galeria, ha incontrato «l’ottima cooperazione delle autorità locali che hanno permesso di visitare e parlare in privato con le persone da ascoltare», mentre «non ha avuto accesso a documenti e informazioni richieste a livello centrale».
Un atteggiamento poco amichevole che ha trovato conferma nella risposta che il governo italiano ha fornito alle conclusioni del Cpt. Il ministero degli Affari esteri ha smentito di non aver fornito cibo, acqua e cure durante le operazioni di respingimento; ha negato l’uso della forza su persone già in condizioni disperate; ha altresì giustificato la mancata concessione del diritto di asilo spiegando che questa scatterebbe esclusivamente in seguito alla richiesta da parte dell’interessato che, nei casi evidenziati dal
Cpt, non era stata avanzata. Eppure il rapporto europeo è estremamente chiaro: il 6 maggio 2009 i migranti intercettati sono stati tenuti sui ponti delle navi italiane per dodici ore senza cibo, né coperte, né acqua sufficiente; alcuni di loro avrebbero subito violenze (anche a colpi di remo) da parte della polizia libica per costringerli a trasbordare sull’imbarcazione africana. Il primo luglio, inoltre, sei migranti, compresa una donna incinta, sono stati maltrattati fino a rendere necessario il ricovero in ospedale. Delle sette operazioni di accompagnamento forzato in Libia e Algeria su cui il Comitato contro la tortura ha svolto indagini, nessuna ha fatto eccezione. Tutte hanno parimenti giustificato il richiamo dell’organo
del Consiglio d’Europa «alle autorità italiane affinché siano assicurate alle persone sotto la giurisdizione nazionale, comprese quelle intercettate da navi italiane fuori dalle proprie acque territoriali, le necessarie cure mediche e umanitarie nonché l’accesso alle procedure che tutelano il principio di non refoulement». Come vorrebbero la normale prassi e le tante convenzioni internazionali di rispetto dei diritti umani.
il Comitato ha sottolineato che è stato leso anche «l’obbligo a carico delle autorità nazionali di fornire le informazioni utili all’indagine, come previsto dai doveri di collaborazione stabiliti nella Convenzione». Infatti la delegazione, che ha visitato quattro centri di trattenimento per migranti irregolari e minori stranieri tra cui il Cie romano di Ponte Galeria, ha incontrato «l’ottima cooperazione delle autorità locali che hanno permesso di visitare e parlare in privato con le persone da ascoltare», mentre «non ha avuto accesso a documenti e informazioni richieste a livello centrale».
Un atteggiamento poco amichevole che ha trovato conferma nella risposta che il governo italiano ha fornito alle conclusioni del Cpt. Il ministero degli Affari esteri ha smentito di non aver fornito cibo, acqua e cure durante le operazioni di respingimento; ha negato l’uso della forza su persone già in condizioni disperate; ha altresì giustificato la mancata concessione del diritto di asilo spiegando che questa scatterebbe esclusivamente in seguito alla richiesta da parte dell’interessato che, nei casi evidenziati dal
Cpt, non era stata avanzata. Eppure il rapporto europeo è estremamente chiaro: il 6 maggio 2009 i migranti intercettati sono stati tenuti sui ponti delle navi italiane per dodici ore senza cibo, né coperte, né acqua sufficiente; alcuni di loro avrebbero subito violenze (anche a colpi di remo) da parte della polizia libica per costringerli a trasbordare sull’imbarcazione africana. Il primo luglio, inoltre, sei migranti, compresa una donna incinta, sono stati maltrattati fino a rendere necessario il ricovero in ospedale. Delle sette operazioni di accompagnamento forzato in Libia e Algeria su cui il Comitato contro la tortura ha svolto indagini, nessuna ha fatto eccezione. Tutte hanno parimenti giustificato il richiamo dell’organo
del Consiglio d’Europa «alle autorità italiane affinché siano assicurate alle persone sotto la giurisdizione nazionale, comprese quelle intercettate da navi italiane fuori dalle proprie acque territoriali, le necessarie cure mediche e umanitarie nonché l’accesso alle procedure che tutelano il principio di non refoulement». Come vorrebbero la normale prassi e le tante convenzioni internazionali di rispetto dei diritti umani.
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