
21/10/10
Il Foglio
Londra. La battuta più efficace, commentando a caldo i tagli alla spesa pubblica (armamenti inclusi), l'ha fatta il Daily Mirror: "Pare quasi che David Cameron abbia dichiarato guerra ai britannici". Certamente, il Comprehensive Spending Review, ossia il piano di austerità annunciato ai restminster dal cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, è destinato a passare alla storia come uno dei più drastici dell'intero Dopoguerra.
In un solo giorno, il gabinetto liberal conservatore ha infatti servito al Parlamento e all'opinione pubblica un programma di riduzione delle spese da 83 miliardi di sterline, più di 120 miliardi di euro. "Oggi è il giorno in cui la Gran Bretagna si allontana dal precipizio", ha detto Osborne nel suo discorso ai Comuni, aggiungendo che il taglio del 25 per cento ai bilanci di quasi tutti i ministeri del Regno Unito (con poche eccezioni, tra le quali Difesa, Sanità, Scuola e aiuti all'estero, tutte voci comunque ridimensionate) "assicurerà la stabilità finanziaria del paese". Il cancelliere ha anche confermato la prima indiscrezione della giornata, riguardo il piano: la previsione, di qui al 2015, di una riduzione del personale pubblico pari a quasi 500 mila unità. Osborne ha spiegato che "i 490 mila posti in meno li otterremo per lo più con il turnover naturale, non rimpiazzando i dipendenti che man mano andranno in pensione", ma ha ammesso che per raggiungere l'obiettivo saranno necessari anche i licenziamenti.
Quanto al welfare, sono previsti 7 miliardi di sterline di tagli aggiuntivi, che riguarderanno i sussidi per l'infanzia (sarà abbassata la soglia di reddito per gli aventi diritto) e per altre voci di spesa, tra cui gli aiuti per gli affitti e per la disabilità, che saranno concessi con nuove regole più restrittive. Tra le prove della nuova austerity, perfino il congelamento della "lista civile", l'appannaggio della Regina, e l'impegno della Casa regnante a ridurre le proprie spese del 14 per cento entro il 2013. Quanto all'età pensionabile, il compromesso raggiunto dal governo Cameron è al ribasso, rispetto alle previsioni: i britannici, donne e uomini, si ritireranno dal lavoro a 66 anni, anziché a 65 come oggi, entro il 2020. Le prime ipotesi al vaglio dei tecnici della cancelleria parlavano di un limite ben più elevato: 70 anni. È questo, forse l'unico punto in cui il piano appare più morbido del previsto. Per il resto, i tagli saranno generalizzati: chiuderanno le basi britanniche all'estero (a cominciare da quelle in Germania, aperte nel 1945) e sarà ritardato l'ammodernamento degli armamenti, a cominciare dalla prevista rottamazione dei sottomarini nucleari della classe Trident e dalla dismissione dell'unica portaerei della flotta, la Ark Royal. In termini di personale, saranno dimessi 17 mila militari e 25 mila civili in forze al ministero della Difesa, e difficilmente - secondo gli analisti - il Regno Unito riuscirà a imbarcarsi in una missione militare come quella afghana nei prossimi anni.
Il risultato, ha assicurato Osborne, sarà una riduzione del deficit pubblico, dall'11 al 2 per cento, anche grazie all'aumento di alcune entrate fiscali. "Con questo piano si mettono a rischio la crescita e la vivibilità di questo paese per le prossime generazioni", è stato il commento in Aula del leader laburista, Ed Miliband, secondo il quale "ci sarebbero alternative" per far uscire il paese dalla crisi. Ma per il premier Cameron il piano di tagli, per quanto duro, rimane un provvedimento "equo" in grado di "mettere al riparo da pericoli" l'economia britannica.
Siamo già al "postzapaterismo"
Madrid. Il premier spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, ha tessuto un patto di (fine) legislatura con il Partito nazionalista basco e con Coalición canaria e ieri ha annunciato un consistente rimpasto di governo. L'obiettivo è dare "nuova energia e spinta" a un esecutivo che deve destreggiarsi tra il prolungarsi della crisi, il tasso di disoccupazione al 20 per cento, i sondaggi che indicano il Psoe circa 15 punti sotto il Partito popolare e l'avvicinarsi di una stringa di elezioni locali importanti, in primis quelle catalane. Inoltre Zapatero, dopo aver chiesto sacrifici ai cittadini con tagli consistenti alla spesa, riduce a 15 i ministeri per risparmiare qualche spicciolo in più. Il ministro degli Interni, Alfredo Pérez Rubalcaba, è il nuovo uomo forte, visto che conserva il suo incarico ma diventa anche primo vicepremier e portavoce del governo, in tandem con Ramón Jàuregui, nuovo ministro della Presidenza (la prima vicepremier uscente, Maria Fernàndez de la Vega, farà parte del Consiglio di stato). Qualcuno pensa che Rubalcaba si accrediti come gestore dell'avvio verso il postzapaterismo, al punto che nel 2012 potrebbe essere lui, e non Zapatero, il candidato premier del Psoe. E dall'aumento di peso di Rubalcaba e dall'ingresso nell'esecutivo di Jàuregui, due dei socialisti che meglio conoscono la "questione basca", molti analisti deducono che Zapatero non abbia abbandonato il sogno di gestire, sotto la sua premiership, la definitiva cessazione dell'attività dei terroristi di Eta. Agli Esteri Trinidad Jiménez, fresca di sconfitta nelle primarie per le elezioni regionali di Madrid (sconfitta che ha creato turbolenze in un Psoe non più marmoreamente zapaterista), sostituisce Miguel Angel Moratinos. Nella ridda di ministri che escono, entrano o si spostano di sedia, della prima squadra con cui Zapatero iniziò la sua permanenza alla Moncloa nel 2004 rimane soltanto Elena Salgado, attuale titolare (confermata) dell'Economia.
Spicca poi il tentativo di Zapatero di coprirsi a sinistra, dopo che i tagli hanno irritato parte del suo elettorato: all'Ambiente va infatti Rosa Aguilar, la cui lunga militanza in Izquierda unida si è interrotta da pochi mesi, e al Lavoro va l'ex sindacalista dell'Unión general de trabajadores Valeriano Gómez, un uomo così ostile alla riforma del lavoro zapateriana che il 29 settembre scorso, in occasione dello sciopero generale, ha partecipato alle manifestazioni di piazza. Simbolicamente rilevantissima è anche l'eliminazione dei controverso ministero dell'Uguaglianza, ora accorpato alla Sanità; il dicastero guidato dalla giovane Bibiana Aldo era la centrale operativa, ideologica e identitaria del cosiddetto "zapaterismo", ma è stato sacrificato sull'altare dei tagli. Cade sotto la falce anche un altro ministero "sociale", quello della Casa, diluito in quello dello Sviluppo.
L'ingresso nel governo della fedelissima Leire Pajfn, che ha ricevuto l'incarico alla Sanità, ha lasciato libero il posto di segretario organizzativo del Psoe, per cui è stato scelto il presidente dell'Aragona, Marcelino Iglesias, un uomo che, dopo aver presieduto il congresso socialista che nel 2000 incoronò a sorpresa Zapatero, non ha mai pronunciato un "bah" di disaccordo con il premier. Gli spetta un incarico di controllore in un partito che dovrà fronteggiare probabili cattivi risultati alle regionali in agenda e dovrà moderare malumori, come quello del socialista Patxi López, che guida il primo esecutivo basco senza nazionalisti e ora vede Zapatero stringere patti a Madrid proprio con il Partito nazionalista basco.
In Francia la polizia sblocca le raffinerie
Parigi. Fermezza sull'ordine pubblico e determinazione politica sulla riforma: Nicolas Sarkozy ha fatto dell'innalzamento dell'età pensionabile la battaglia con cui dimostrare ai francesi e ai mercati internazionali di essere un presidente credibile che riforma fino in fondo. Di fronte alle manifestazioni, agli scioperi, alla guerriglia urbana degli studenti e alle pompe di benzina vuote, ora Sarkozy non può più permettersi di indietreggiare.
Ieri ha ordinato di sbloccare le raffinerie e di rispondere con durezza alla violenza: "Certi limiti non devono essere superati e il mio dovere è di garantire il rispetto dell'ordine repubblicano al servizio di tutti i francesi", ha detto il presidente durante il Consiglio dei ministri. "1.423 teppisti sono stati fermati in una settimana", ha annunciato il ministro dell'Interno, Brice Hortefeux:"Non lasceremo i delinquenti impuniti". Sarkozy ha ammesso che quella delle pensioni "è una riforma difficile", ma la porterà "fino in fondo", costi quel che costi in termini di popolarità, Quel che conta è il 2012, anno delle elezioni presidenziali: nei prossimi diciotto mesi c'è tempo per far digerire la riforma ai francesi e risalire nei sondaggi con un nuovo governo più orientato al sociale.
La posta in gioco va al di là della riconferma all'Eliseo. "Se non facciamo questa riforma, diventeremo il paese malato d'Europa. E il rating della Francia verrebbe immediatamente degradato", spiega il deputato Ump, Daniel Fasquelle. Gli analisti finanziari concordano: "la riforma è cruciale per la credibilità di bilancio dopo decenni di promesse mancate sul deficit", dice Matthew Curtin dei Wall Street Journal. Ma una marcia indietro potrebbe dimostrarsi "profondamente dannosa" anche per il resto della zona giuro perché metterebbe in dubbio "l'impegno dell'Europa sulle riforme strutturali necessarie per aumentare il suo potenziale di crescita".
Oggi comincia la corsa per evitare che lo scontro sulle pensioni si protragga oltre i limiti temporali e economici tollerabili per la Francia. "La paralisi potrebbe avere delle conseguenze in termini di occupazione, deteriorando l'attività economica", ha spiegato Sarkozy. In mattinata i sindacati si riuniranno per decidere altre giornate di sciopero e l'Eliseo spera in una spaccatura, dopo che i più moderati hanno evocato la necessità dì "una pausa". In serata, il Senato ha programmato di adottare la riforma. Lunedì la commissione mista di sette deputati e sette senatori si riunirà per limare il testo finale. Mercoledì 27 ottobre, la riforma delle pensioni dovrebbe essere definitivamente adottata dalle due assemblee parlamentari.
L'Eliseo ritiene che i sindacati e gli studenti si calmeranno durante il ponte di Ognissanti. Poi avvierà la seconda fase della sua strategia, quella di lungo periodo, con un rimpasto a metà novembre e altre riforme. Per ricucire con i francesi, Sarkozy ha in niente un piano per l'assistenza agli anziani e un programma a favore dell'occupazione giovanile. Secondo una fonte vicina al presidente, "la radicalizzazione del conflitto (sulle pensioni) apre un po' più la porta di Matignon a Jean Louis Borloo", il leader centrista del Partito radicale di destra, "che ha una vera immagine sociale".
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