
Il 5 novembre scorso su Newsweek è stato pubblicato un articolo dal titolo “General David Petraeus’s Rules for Living”, le regole di vita del Generale Petraeus in cui l’ex direttore della Cia dispensava dodici consigli su come affrontare e superare le difficoltà. Al quinto punto si legge, «Ognuno di noi commette errori. La cosa importante è riconoscerli e ammetterli». Nell’ingarbugliato affaire Petraeus o Petraeus gate l’unica cosa chiara sembrerebbe la coerenza del Generale a 4 stelle.
Tutto qui? Il ready- to-go prontuario, in verità, dice di più. Petraeus era molto apprezzato dalla stampa americana: tra il Generale e i giornalisti c’era un ottimo rapporto che gli ha più volte assicurato titoli compiacenti. Spesso dipinto come intellettuale militare, per un breve periodo fu considerato un candidato papabile alla Casa Bianca. Non v’è dubbio che i meriti c’erano. Petraeus, come ha spiegato il giornalista Howard Kurtz alla Cnn, «ha posto le fondamenta alla lotta al terrorismo, ha ottenuto importantissime vittorie in Iraq ai tempi di George W. Bush ed è stato in grado di modificare la strategia militare quando il presidente Obama lo nominò a capo delle operazioni in Afghanistan».
Ma dal momento in cui fu scelto come direttore della Cia (settembre 2011), ha cambiato approccio: basso profilo, interviste con il contagocce, pochissime conferenze stampa lasciando a bocca asciutta non solo i media ma anche la popolazione statunitense.
Ad esempio, gli americani, e il resto del mondo, avrebbero voluto sapere di più sul ruolo della Cia nell’attentato al consolato americano a Bengasi l’11 settembre 2012 dove morirono l’ambasciatore Christopher Stevens e altri tre funzionari. Petraeus scelse la linea del silenzio. Inoltre, dopo le dimissioni di venerdì scorso il Generale è, teoricamente, chiamato fuori dai giochi nel giro delle testimonianze che in queste settimane la commissione sull’intelligence del senato americano sta passando in esame per chiarire cosa successe a Bengasi. Al suo posto è stato chiamato a deporre il Capo ad interim della Cia, Michael Morell. Molti repubblicani ma anche l’ex direttore Cia Michael Hayden che lavorò sotto W. Bush, vorrebbero sentirlo e sollevano sospetti su un possibile legame tra le sue dimissioni e l’inchiesta su Bengasi. Ma il capo della commissione, la senatrice Dianne Feinstein, ha detto: «Non c’è assolutamente nessun legame tra le dimissioni di Petraeus e i misteri attorno all’attentato. In ogni caso, non escludo che in futuro potremmo porre al Generale qualche domanda».
Cosa rimane? Un milione di domande senza risposta. Come dicevano i greci, più sai e più sai di non sapere. L’ingresso di Jill Kelley, 37 anni, amica della famiglia Petraeus ha complicato il quadro. La Kelley, come appreso nei giorni passati, ha sporto denuncia alle autorità giudiziarie dopo aver ricevuto una mezza dozzina di email minatorie inviate dall’allora amante di Petraeus, Paula Broadwell. La Kelley avrebbe di fatto dato inizio alle indagini dell’Fbi culminate con le dimissioni del Generale. Dunque è sufficiente un sospetto per attivare i servizi segreti? È quello che si chiedono in molti. Inoltre, ieri mattina a Good Morning America, l’ex portavoce di Petraeus ha dichiarato che la relazione con la Broadwell sarebbe cominciata alcuni mesi dopo essere diventato capo della Cia e che la storia tra i due è finita 4 mesi fa. Ma allora perché dimettersi ora? Per rispetto e rettitudine? A proposito, una piccola curiosità, l’autrice dell’articolo sulle regole di vita del generale Petraeus è Paula Broadwell.
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