
04/01/11
Il Riformista
La diplomazia italiana resta gelata dalla conferma, da parte del nuovo governo brasiliano, della decisione di Lula. Ma, per la mancata estradizione di Cesare Battisti, l’Italia non intende lasciare nulla di intentato: neanche la Corte Internazionale dell’Aja, per quello che, secondo il ministro degli Esteri, Franco Frattini, rappresenta un «precedente gravissimo». Più tranchant il suo collega di governo, Ignazio La Russa: una «pugnalata alle spalle», per la quale il ministro della Difesa scomoda lo spettro del comunismo. «Qui c’è il fatto che Battisti è un comunista e Lula è un comunista che, prima di andare via, ha voluto fare un regalo ai radical chic francesi e all’ultrasinistra brasiliana». Questo mentre in passato il ministro della Difesa brasiliano gli aveva parlato invece «informalmente di una previsione positiva» per l’estradizione del terrorista.
Che la decisione fosse inattesa viene confermato anche dal procuratore Italo Ormanni, già inviato del Governo italiano in Brasile per perorare l’estradizione di Battisti: «L’aspettativa era diversa, dopo la sentenza del Tribunale federale. E sono abituato a Paesi in cui quando il Supremo organo giurisdizionale dice una cosa, quella va fatta. Se il presidente ha deciso di fare diversamente da quanto stabilito dal supremo organo giurisdizionale rimango quanto meno un po’ perplesso». Maurizio Gasparri annuncia che il gruppo Pdl presenterà una mozione in Senato sul caso Battisti, mentre, sempre dal governo, scende in campo anche Giancarlo Galan. «Non so cosa si dovrebbe fare per rendere universale la vergogna con cui il governo del Brasile si è presentato agli occhi del mondo nell’ultimo giorno del 2010», affonda il ministro. «Chiedere all’amico governo degli Stati Uniti, che combatte assieme a noi in prima linea il terrorismo internazionale, di promuovere una campagna internazionale che porti alla condanna morale del comportamento di Lula e dei suoi compagni nei riguardi dell’Italia, della giustizia e del rispetto di ogni codice umanitario? E la Francia, dove Battisti ha trovato in alto loco protezioni ripugnanti, non ha nulla da dire?».
Oggi la protesta scende anche in piazza. A partire da una manifestazione questo pomeriggio a Milano, davanti al consolato, dove il premier Silvio Berlusconi incontrerà, insieme a Daniela Santanché, Alberto Torreggiani, responsabile nazionale del dipartimento giustizia del Movimento per l’Italia di cui la Santanché è leader, ma soprattutto figlio di Pierluigi, il gioielliere per la cui morte Battisti è stato condannato. Un altro presidio sarà organizzato dal Carroccio sempre davanti al consolato. E poi c’è Roma, dove di fronte all’ambasciata, a piazza Navona, alle 16 ci sarà un sit in con Franco Frattini, Giorgia Meloni e Ignazio La Russa. Ma anche l’Udc, con i1 segretario nazionale Lorenzo Cesa: la delegazione centrista parteciperà senza insegne di partito.
Alle 17 si farà sentire anche il Pd, con un gruppo di dirigenti, militanti romani e parlamentari. Un’iniziativa separata e distinta, attenta anzi a non confondere le bandiere con quelle del Pdl. Perché i democrat criticano sì il Brasile, ma anche «la timidezza del governo italiano che in questi giorni sembra di fatto anteporre gli interessi commerciali nelle relazioni tra i due stati alla consegna di Battisti». Né mancherà l’Italia dei Valori, assicura Antonio Di Pietro.
Fuori dal coro i radicali, mentre fanno discutere le parole di Sergio D’Elia in un’intervista a questo giornale. «Lo Stato italiano è un delinquente abituale. Basta considerare che le nostre carceri sono strumenti di tortura», grida l’ex deputato radicale e leader di Nessuno Tocchi Caino. Il punto, per i radicali, è un altro: il caso Battisti - come anche altri affaire politici in Italia - allontanerebbe l’attenzione da reali emergenze come quella, appunto, delle carceri. «Sono stata la notte di Capodanno fino alle 4 e mezzo di mattina nel carcere di Padova con Marco Pannella», spiega Rita Bernardini. «Poi, dopo un’ora di sonno sono andata al carcere di Bologna. Ora sto preparando un’interrogazione sempre sul carcere di Padova, dove tutte le infermiere si sono licenziate e non c’è più la somministrazione. Queste sono reali emergenze». Insomma: «Non è il caso Battisti o Lula, ma il caso Italia», le fa eco un’altra radicale, la tesoriera di Nessuno Tocchi Caino, Elisabetta Zamparutti. «Tanto che Pannella parla di "quote consistenti di Shoah". La questione di cui nessuno discute è questa, non quella di un condannato che la fa franca. È propaganda, demagogia da mercanti del Tempio del dolore dei parenti delle vittime».
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