
L’ipotesi di mettere la Rai in mano a un commissario governativo, come si fa con le aziende pubbliche disastrate, in origine era di Bersani. Ma per un certo tratto di strada nessuno ha condiviso la proposta del segretario del Pd, salvo Di Pietro e pochi altri. Peraltro, come ha sempre sostenuto Emma Bonino, «la Rai è un problema di democrazia, non solo di conti in ordine».
Sta di fatto che ancora pochi giorni fa, nella notte del famoso vertice a tre con Monti, il tema Rai era stato rinviato a tempi migliori. Quali? Secondo Casini, che ne aveva parlato con la stampa, la cosa migliore era affrontarlo dopo le amministrative di maggio, lasciando sfumare le nevrosi politiche. A quella scadenza si poteva e si può arrivare senza alcuna proroga formale del Consiglio d’amministrazione, ben sapendo che alla proproga è decisamente contrario il presidente della Repubblica.
Il punto è che l’attuale Cda, pur in scadenza, avrà bisogno di qualche settimana per completare i bilanci, circostan7 a che lo aiuterà a scivolare in modo naturale verso maggio. E poi non bisogna dimenticare che nel mese di aprile il governo dovrà prendere una decisione definitiva sulle frequenze tv, cioè sulla procedura - oggi congelata - per la loro assegnazione. Come è noto, si tratta di una grana di prim’ordine ed è un po’ difficile immaginare che non esistano legami neanche indiretti fra la partita che tocca la gestione della Rai e lo sbocco del rebus delle frequenze (tra l’altro il commissario europeo alla concorrenza, Almunia, sta sollecitando la scelta di Roma e vuole che siano tutelati i nuovi operatori).
Sotto il profilo politico, in ogni caso, fino all’altro giorno Bersani risultava isolato sulla posizione «commissario subito». Da domenica non è più così. L’uscita di Gianfranco Fini, subito sostenuta da Casini (a prezzo di qualche contraddizione), crea un asse Pd-Terzo polo che rovescia sul Pdl la condizione di isolamento.
Non è dato sapere cosa abbia indotto il tandem terzopolista a cambiare idea. Con un po’ di malizia si può pensare che c’entri qualcosa la complicata partita dì Palermo, dove l’Udc è alleata con il Pdl di Alfano a sostegno di un candidato a sindaco, Massimo Costa, che all’inizio era stato espresso dal Terzo polo. Per cui Fini e i suoi hanno dovuto affidarsi a un altro nome (Aricò) per combattere la battaglia di Palazzo dei Normanni e non sono molto contanti del voltafaccia dei centristi. La mossa politica sulla Rai serve quindi a ridare coesione al vertice del Terzo polo e una maggiore visibilità al presidente della Camera.
Al dunque, però, l’unico risultato è di irrigidire il partito berlusconiano. Sul commissario a Viale Mazzini non sembrano esistere oggi margini di mediazione e occorrerebbe un atto d’imperio del presidente del Consiglio. Ma la legge Gasparri non prevede la possibilità del commissario. Quanto ai conti della Rai, sotto il profilo formale non sembrano in rosso. Difficile trovare un appiglio per procedere come vorrebbero Bersani, Fini e Casini. D’altra parte resta sul tavolo il tema prioritario di un Consiglio da rinnovare, sia pure nella cornice della Gasparri. E di un direttore generale a cui attribuire grandi poteri e notevole autonomia. È un po’ quello che reclama una vecchia bandiera della Rai come Pippo Baudo, quando chiede a gran voce «un nuovo Ettore Bernabei». Sempre che si riesca a trovarlo.
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