
Tutti speriamo che l’autorità giudiziaria sia messa, finalmente, nella condizione di far luce sulla trattativa che si presume intercorsa fra mafia e Stato nella primavera del 1992.
Tutti confidiamo che i responsabili dei reati siano individuati e condannati. Permane d’altronde intatto lo sconcerto di fronte al fatto che tanti politici che sapevano siano rimasti per tanti anni silenti e che, soltanto ora, fra reticenze e sussurri, qualcuno cominci a raccontare.
La vicenda, com’era inevitabile, a causa della sua enorme rilevanza politica e criminale (Borsellino sarebbe stato assassinato proprio per la sua opposizione alla trattativa; le stragi di Firenze e Roma sarebbero state la reazione alle incertezze dello Stato), non poteva non lasciare dietro di sé, ad ogni passaggio, sciami di polemiche e di veleni.
Da ieri l’altro la polemica sembra lambire il Capo dello Stato a causa di una lettera che egli ha fatto inviare il 4 aprile 2012 dal segretario generale della Presidenza al procuratore generale presso la Cassazione, concernente una doglianza, ricevuta dell'onorevole Mancino, sul fatto che non fossero state, fino ad allora, adottate forme di coordinamento delle attività svolte da più uffici giudiziari.
Che cosa scriveva in quella lettera il segretario generale? Trasmettendo la lettera a sua volta inviata a Napolitano da Mancino, egli precisava che «conformemente a quanto da ultimo sostenuto nella Adunanza plenaria del Csm del 15 febbraio scorso, il Capo dello Stato auspica che possano essere adottate iniziative che assicurino la conformità di indirizzo delle procedure sulla base degli strumenti previsti dal nostro ordinamento, al fine di dissipare le perplessità che possono derivare da gestioni non unitarie delle indagini collegate, i cui esiti possono anche incidere sulla coerenza dei successivi percorsi processuali».
In termini burocratici, si sollecitava dunque, semplicemente, il procuratore generale della Cassazione ad assicurare, per quanto possibile, l’opportuno coordinamento delle indagini, allo scopo di evitare che iniziative discordanti potessero danneggiarle. Ed allora, che c’è di strano? Il Capo dello Stato, nella prospettiva di una proficua collaborazione istituzionale, ha sollecitato, semplicemente, il procuratore generale presso la Cassazione ad esercitare con tempestività ed efficienza i suoi poteri di controllo in una materia particolarmente incandescente quali sono le indagini sulla trattativa mafia-Stato.
Si badi che l’esercizio dei poteri di sorveglianza sollecitati al procuratore generale della Cassazione sono specificamente riconosciuti dalla legge. L’art. 106 del d.lgs. n. 106/2006 dispone che «il procuratore generale presso la Corte di Appello, al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale, acquisisce dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto, ed invia al procuratore generale presso la Cassazione una relazione annuale» (ovviamente per consentirgli un’adeguata sorveglianza); l’art. 104 del d.lgs. n. 159/2011, sotto il titolo «attribuzioni del procuratore generale della Cassazione in relazione alla attività di coordinamento investigativo», dispone a sua volta che «il procuratore generale presso la corte di Cassazione esercita la sorveglianza sul procuratore nazionale antimafia». Il procuratore nazionale antimafia ha sicuramente il potere di dirigere e coordinare le attività investigative delle Direzioni distrettuali antimafia; egli è tuttavia soggetto, a sua volta, a specifica sorveglianza da parte del procuratore generale presso la Cassazione, la massima autorità requirente del Paese.
Il Capo dello Stato, nei suoi interventi in materia di giustizia, aveva d’altronde manifestato più volte preoccupazione sul fatto che indagini collegate potessero avere sviluppi non adeguatamente coordinati; e già altre volte aveva opportunamente allertato il procuratore generale in questo senso (si può ad esempio ricordare il suo intervento nel momento in cui era scoppiato un grave conflitto fra le procure generali di Catanzaro e Salerno). È pertanto naturale che anche questa volta abbia potuto, in piena legittimità, rivolgersi alla massima autorità giudiziaria competente a sorvegliare il funzionamento delle procure per sollecitare interventi funzionali al miglior esercizio possibile dell’attività giudiziaria.
Dato il tenore della lettera, non è d’altronde vero che si siano verificate indebite pressioni sul procuratore generale, non è vero che sia stato scavalcato il Capo della Dna, nulla, nella lettera, fa lontanamente pensare che essa tendesse a salvare in qualche modo i politici.
Che su questa vicenda si sia imbastita una polemica di tal fatta, è segno tristissimo della crisi in cui annaspa il nostro Paese.
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