
04/08/10
Il Sole 24Ore - ed. Roma
Sono le punte della ricerca a Roma. Giovani talenti della biologia, dell'ingegneria, della fisica, della matematica, della geologia che potrebbero essere i Nobel di domani. Lavorano in università, fondazioni, centri di ricerca pubblici e privati. Hanno nel curriculum decine di esperienze all'estero e molti problemi comuni legati alla realtà del nostro paese: ricerca pagata poco e male e tutti gradini della carriera universitaria retribuiti peggio di quanto avviene oltreconfine. Scienziati spesso di grande livello che all'estero occuperebbero tranquillamente posizioni da professore, ma qui impantanati in contratti da ricercatore che difficilmente superano i duemila euro. Alessandro Giuliani, 31 anni, ricercatore di matematica a Roma Tre, ha vinto da un anno un finanziamento da 650 mila euro dello European research council «Il nostro obiettivo - spiega - è, in sistemi chiusi di particelle, capire il comportamento del sistema, partendo dalle leggi fondamentali di interazione». I soldi gli serviranno per aprire posizioni di post doc e invitare esperti stranieri a trascorrere periodi in Italia. Schema che sta seguendo anche Tullio Scopigno, 37 anni, ricercatore alla Sapienza, che nel 2008 vinto con l'Erc un premio da 1,6 milioni per un progetto nella spettroscopia ultraveloce. «Studiamo i fenomeni chimico-fisici su scale di tempo del femtosecondo. Il primo obiettivo del programma è la costituzione di un laboratorio» E spesso i risultati raggiunti non bastano. Giuliani non è convinto di restare nel nostro paese: «Le prospettive di chi, come me, cerca di creare dei gruppi di ricerca non sono molto chiare. Tutti quelli cresciuti professionalmente con me in Italia a un certo punto hanno deciso di andarsene e io potrei decidere di fare lo stesso». Emiliano Macaluso, 37 anni, lavora invece presso la Fondazione Santa Lucia e si occupa di risonanza magnetica funzionale. Anche lui ha ottenuto, da appena un mese, 1,2 milioni di euro dall'Erc. «Lavoro da anni a studi sull'attenzione che si occupano di elaborazione degli stimoli esterni». Lavorare presso un istituto privato gli consente di avere una retribuzione comparabile a quanto guadagnerebbe all'estero. Ma l'impossibilità di avviare una carriere universitaria potrebbe costringerlo a emigrare «Se fossi all'estero, per uno con il mio percorso sarebbe molto facile insegnare all'università, una cosa fondamentale per il curriculum».
C'è anche chi lavora in settori prettamente hi-tech, come Gaspare Varvaro, 31 anni, ricercatore al Cnr specializzato in materiali per gli hard disk di computer. «In particolare -spiega - lavoriamo alla preparazione della pellicola sottile del disco rigido». Come Alberto Giaconia, 3 anni, ingegnere chimico che lavora all'Enea e si occupa di produzione di idrogeno a partire da fonti di energia pulite. «Oggi i metodi partono tutti da combustibili fossili - spiega -, ma noi stiamo lavorando a un sistema completamente sostenibile e, nel lungo periodo, ricavare l'idrogeno direttamente dall'acqua, trasformandola di fatto in un combustibile». Molti i talenti più noti all'estero. Come Fabrizio Grandoni, 33 anni, ricercatore di Tor Vergata che ha trascorso periodi in Germania, Norvegia e Svizzera. E di lì a da poco vinto un premio per il miglior articolo al Simposium on theory of computing, una delle più importanti conferenze al mondo sull'informatica teorica. Ma, parlando del premio, dice con una punta di amarezza: «Quando sono andato a ritirarlo alcuni colleghi di altre nazioni (in particolare statunitensi) mi hanno preso in giro perla mia scelta di rimanere in Italia a fare ricerca». La posizione di ricercatore in Italia non è invidiabile, perché quasi sempre il proprio lavoro viene pagato meno che altrove. «Mia moglie è una ricercatrice precaria continua Grandoni -. Se dovesse perdere il lavoro, il mio solo stipendio ci metterebbe in una difficile situazione economica. Cercare un'altra occupazione all'estero potrebbe diventare una scelta obbligata». Ha un anno meno di Grandoni, appena 32, Ruggiero Mango, ricercatore di medicina di Tor Vergata che partendo da una ricerca di un recettore per il colesterolo ossidato, attraverso uno studio di genetica ha scoperto una proteina (chiamata Lox-1) che potrebbe avere un ruolo decisivo nella prevenzione e nella cura dell'infarto. «Per condurre la nostra ricerca ci serverebbero più persone e un forte sostegno economico. Stiamo lavorando alla produzione di un farmaco». Fare il salto dal gradino di ricercatore, che guadagna 1.450 euro con due anni di anzianità, a quello di professore è diventato quasi impossibile. Con poche eccezioni. Riccardo Faccini, 39 anni, ha lavorato al Cern di Ginevra e a Stanford per poi rientrare in Italia nel 2001. Attualmente, tra le altre cose, sta lavorando sull'accelerazione di particelle attraverso i laser nei gas. E solo in queste settimane è diventato associato. Ma le risorse umane ci sarebbero.
C'è chi, addirittura, non ha neppure completato il dottorato e già ottiene risultati di grande livello. Come Annalisa Iadanza, 28 anni, dottoranda in Geologia presso l'università Roma Tre. Un suo progetto di ricerca ha vinto una delle dieci borse di finanziamento dell'Exxon Mobil's 2010 geoscience grant program. E c'è chi, per fare il suo lavoro, deve ricorrere a scappatoie contrattuali. Mariangela Morlando, 34 anni, è una ricercatrice della Sapienza, rientrata dopo un postdottorato da Oxford in Italia. «Studio i regolatori dell'espressione di geni coinvolti in patologie come il cancro e la Sla», racconta. Ma lo sta facendo con un contratto da dirigente tecnico di laboratorio. «Un contratto da ricercatore resta sempre la mia speranza» dice.
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