
La vicenda del processo da rifare sulla strage di via D'Amelio diviene sempre più imbarazzante. Le rivelazioni, o presunte tali, sulle vere e proprie torture cui fu sottoposto durante le indagini il "pentito" Scarantino non possono restare senza risposta da parte dell'autorità giudiziaria.
Lo notava il Foglio ieri evidenziando una lettera del cronista giudiziario Frank Cimini. Non si vede come si possa evitare di aprire un'indagine. Solo che ci sarebbero conseguenze a cascata. Scarantino di quelle torture aveva già parlato nel corso del processo, quando ad un certo punto ritrattò le accuse. Non venne creduto nella sua marcia indietro dai Pm di Caltanissetta e in qualche modo rientrò in carreggiata. Salvo poi - col giudizio della Cassazione ormai definitivo - portare l'intero processo ad un impatto frontale con le rivelazioni di Spatuzza che scagionano alcuni condannati. Eppure sulla credibilità di Scarantino come partecipe di una strage di alta mafia qualche dubbio era logico averlo anche all'epoca. Un piccolo spacciatore, tossico e convivente con un travestito, ricattatile dal primo che passa, improbabile per operazioni simili.
Ma i pochi giornalisti che avanzarono dubbi vennero allora trattati più o meno come fiancheggiatori di "cosa nostra" da loro colleghi in gran dimestichezza con autorevoli Pm. Gli stessi, sempre in tandem, che ora denunciano e indagano sul "depistaggio". E se fosse invece la solita storia dei colpevoli da trovare subito e ad ogni costo?
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