
Uno dei tormentoni della campagna elettorale, e non solo di quella delle Regionali lombarde: i costi della politica, i rimborsi ai partiti, il vento dell’anticasta. Tema da propaganda che ora, a Consiglio regionale eletto - anche se non ancora insediato - diventa invece tema da agenda per il governo e per l’opposizione del Pirellone, visto che già fra quattro mesi, a fine giugno, arriverà nelle casse dei partiti, e delle liste che hanno eletto almeno un consigliere regionale, un rimborso elettorale di tutto rispetto, anche dopo il dimezzamento operato dalla legge 213 del 2012: soltanto per quest’anno gli otto simboli rappresentati nell’aula di via Filzi porteranno a casa, complessivamente, 4 milioni e 240 mila euro circa di rimborsi per le spese sostenute in campagna elettorale, al di là di quanto effettivamente speso. Più che «porteranno», forse, bisognerebbe dire porterebbero: perché dal Movimento 5 Stelle, che ha già annunciato di voler rinunciare a quella entrata, ai partiti che più o meno timidamente ne avevano chiesto l’abolizione, bisognerà vedere chi davvero ne entrerà in possesso, quest’anno come tutti gli anni a venire di questa decima legislatura. Il calcolo è puramente matematico: lo Stato paga ai partiti e alle liste elette nei consigli regionali 0,88 euro per ogni voto preso. Fino all’anno scorso, con la vecchia legge, il moltiplicatore era addirittura di 1,77 euro, il doppio: infatti, per fare un esempio, i partiti dell’ultima legislatura Formigoni prendevano oltre 7 milioni all’anno. Incassa più soldi, insomma, chi ha preso più voti: il Partito democratico, con il suo milione e 369.440 preferenze, perde le elezioni ma risulta comunque il partito più votato, quindi incamera un milione e 205 mila euro circa per ogni anno di durata della consiliatura, mentre il Pdl si “ferma” a poco meno di 800 mila e i grillini a 682 mila.
Silvana Carcano, candidata presidente dei 5 Stelle contro Roberto Maroni e Umberto Ambrosoli (ed eletta come consigliere regionale), ha sempre detto, mettendolo anche per iscritto in una lettera ai suoi competitori: «Il M5S lascerà quei soldi nelle casse della Regione, come avviene in Piemonte, Sicilia ed Emilia dove il movimento è presente. Nessuno degli altri candidati mi ha risposto cosa intenda fare con quei soldi: ciò non può che significare che quei soldi li prenderanno» (Carcano, in realtà, fa riferimento alla cifra di 35 milioni, calcolata su cinque anni con il vecchio rimborso). Nelle sue tante uscite pubbliche il neopresidente Maroni ha sempre parlato genericamente di ridurre i costi della politica - ora si vedrà come - mentre Ambrosoli ha puntato sul dimezzamento degli stipendi di giunta e Consiglio. Lasciare quei soldi alla Regione, come dicono i grillini - o meglio, metterli in un fondo creato ad hoc - sembra in effetti l’unica possibilità, a meno che una ulteriore stretta sui costi della politica non porti a cancellare l’assegno che ogni anno lo Stato stacca ai partiti. Tema spinoso, perché per un Giulio Gallera, appena rieletto consigliere per il Pdl, che dice «non pensavo neanche venissero più erogati, per me i rimborsi andrebbero cancellati», c’è il segretario lombardo del Pd, Maurizio Martina, che mette sul piatto un ragionamento: «Siamo disponibilissimi a lavorare anche con i 5 Stelle per ridurre ancora le voci su cui intervenire, ma ricordiamoci che senza finanziamenti ufficiali e trasparenti la politica non si può fare». I rimborsi pubblici vengono usati, infatti, non soltanto per coprire i costi della campagna elettorale (le spese vanno depositate entro tre mesi dall’ elezione in Corte d’Appello per i singoli candidati e entro 45 giorni dall’insediamento del Consiglio alla Corte dei Conti per le liste e i partiti) ma soprattutto per il funzionamento dei partiti stessi: cioè sedi, personale, dotazioni.
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