
25/11/10
Libero Quotidiano
Quelli che strillano più forte, al solito, sono quelli con gli armadi più colmi di ossa. I residuati di Pci e sinistra Dc, che oggi attaccano Libero che osa criticare Napolitano, col lancio di fango in direzione Quirinale vantano lunga consuetudine. E risultati di tutto rilievo: un capo dello Stato, Giovanni Leone, fatto dimettere e un altro, Francesco Cossiga, delegittimato al rango di macchietta. Il tutto ad opera di intellettuali e politici di sinistra. Leone finì al Quirinale perché bisognava azzoppare la candidatura di Fanfani e serviva un nome che tranquillizzasse tutti. Scelsero lui - avvocato napoletano grande esperto in governi balneari - perché non era di nessuna corrente e non rappresentava una minaccia per nessuno. Lo sacrificarono, lui corpo estraneo, sull’altare del compromesso storico. A farlo fuori a suon di fango ci pensò l’Espresso che, con le inchieste di Camilla Cederna (cui l’operazione valse di diritto un posto nel Pantheon dei giornalisti di sinistra, e da allora il criterio d’ammissione non è che sia cambiato granché) sostenne che l’Antelope Cobbler dello scandalo Lockheed fosse Leone. La campagna dell’Espresso - tarocca dalla prima all’ultima riga - fu cavalcata a spron battuto da un asse-monstre con tutti dentro, Repubblicani e sindacati, giudici e sinistra Dc, comunisti e padroni. Perché nel frattempo, auspice il duo Moro-Andreotti, si delineava il centrosinistra allargato. E così la campagna contro Leone arruolò anche Belzebù (non amatissimo a sinistra) e il presidente della Dc (che pure restava quello del «non ci faremo processare nelle piazze»). Leone resse finché poté, poi gettò la spugna e rassegnò le dimissioni. Sandro Pertini si trovò la strada spianata per il Quirinale. Di lì a poco, tutte le accuse contro Leone caddero nel vuoto. Alcuni, come i Radicali Pannella e Bonino, gli avrebbero chiesto scusa il giorno del suo novantesimo compleanno. Altri mai.
Salto di dieci anni e stessa scena. Al Colle c’è una persona non gradita a Pci e sinistra Dc. E allora, a Botteghe oscure e piazza del Gesù, accendono all’unisono il ventilatore caricato a deiezioni. Significativo salto di qualità, che dalle ormai banali accuse di corruzione si passa alla psichiatria: «Altro che picconate, Cossiga è diventato matto». La bufala dei viaggi segreti in Romania a fare l’elettroshock, per dire, esce dritta dalla sede dc, piani alti. E poi i comunisti. Un deputato del Pds, tale Fracchia, dà a Cossiga del «ricattatore», Giorgio Bocca si duole dell’impossibilità di impedire fisicamente ai giornali di riportare le sue dichiarazioni. Anche qui c’è lo zampino di Scalfari. Perché Repubblica (principale sponsor del nemico numero uno di Cossiga, Ciriaco De Mita) si schiera contro l’inquilino del Colle, tanto che - racconterà il Picconatore - la paternità dell’idea di obbligare Cossiga mediante mozione parlamentare a sottoporsi a perizia psichiatrica fu del medesimo Scalfari. Fallita la perizia, Occhetto prova con l’impeachment, ma fallisce anche lì. Cossiga alla fine si dimetterà, anticipando di due mesi la scadenza del mandato. Al Colle, i suoi stessi carnefici manderanno Oscar Luigi Scalfaro.
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