
Sovente la nostra rappresentazione dell'agire politico dei radicali è legata all'immagine del pungolo: i radicali come compagni strani con il dono di spronare gli altri, inducendoli a correggere atteggiamenti e posizioni. Gli interessati, però, non si riconoscono in ciò e lanciano di continuo sfide temerarie. In un panorama dominato dagli interessi di bottega, nel quale neppure i principali soggetti riescono a interpretare una "vocazione maggioritaria", essi provano ogni giorno a mutare l'agenda, indicando i rimedi possibili per i mali del paese e mettendo in gioco la propria stessa sopravvivenza. Sono dei velleitari? Un po' sì, ma dei velleitari del fare. Fanno e disfano, spesso. Estranei alle logiche dominanti, eppure sempre alla ricerca di partner con i quali stringere contratti e ai quali chiedere "ospitalità".
Insinuarsi nelle contraddizioni dell'avversario rappresenta una pratica classica della politica, sinistra inclusa. I radicali, invece, sembrano maestri anche nel tentativo di evidenziare quelle dei "compagni di strada", come è emerso con la vicenda della mozione di sfiducia al ministro Saverio Romano. Il loro obiettivo è quello di rompere con gli schemi che, a destra come a sinistra, sorreggono il cosiddetto regime, responsabile della peste italiana. In ciò è il senso, per loro, dell'alternativa. Alternativa a questa destra e a questa sinistra.
Generosi, leali e improntati a spirito empirico da un lato, essi appaiono non di rado irragionevolmente intransigenti o inaffidabili dall'altro. Per certi versi inclini a stupire il mondo politico e i cittadini, per altri danno l'impressione di ripetere il medesimo copione. Alcuni loro atteggiamenti paradossali, del resto, e lo stesso gusto per il paradosso che anima Marco Pannella costituiscono sì una condizione, forse anche psicologica, per vivere politicamente e per continuare la lotta, ma rischiano di accrescere la confusione e di far perdere la fiducia e la simpatia di tante persone.
Però, ecco l'attualità della loro sfida, un po' tutti, da oltre due decenni, si affannano a prospettare una seconda o addirittura una terza Repubblica, senza riuscirvi davvero. Cambiare metodi e obiettivi, approdare a una nuova Italia, proporre schemi e paradigmi diversi dagli attuali comportano infatti l'impellente bisogno di rimettersi profondamente in discussione, sacrificando interessi consolidati e rendite di posizione. E a ciò l'attuale classe dirigente è assai poco incline, oscillando fra fughe in avanti e pulsioni conservatrici. I radicali, invece, provano di continuo a spiazzare i loro interlocutori. Di rado vi riescono, mostrandone però, fra mille contraddizioni, le ambiguità e l'inadeguatezza.
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