
16/12/10
L'Unità
Se c’è un cambiamento che sta mettendo in crisi la percezione di cosa sia lo "spazio pubblico", quello è, a mio avviso, il venir meno (o il divenire incerto) del confine tra sfera privata e sfera pubblica. Gli esempi che potremmo fare, a tal riguardo, sono numerosi: ci limitiamo a ricordare, emblematicamente, che viviamo in un paese il cui capo del governo è probabilmente l’espressione massima di "pubblicizzazione del privato". E, tuttavia, il fenomeno al quale mi riferisco non può essere circoscritto all’eccentricità di un carattere; e neppure alla novità di qualche format mediale, o all’invasività della tecnologia nelle pieghe della nostra vita intima. Un concorso di fattori di cambiamento sta determinando una nuova forma mentis, un modo inedito di comprensione del reale. Mi ha molto colpito, in tal senso, che quanto più emerge, di quella montagna di informazioni segrete che Wikileaks va diffondendo, non riguardi dati "sistemici"; non riguardi (non solo) informazioni sul funzionamento delle istituzioni, sull’economia, sulle relazioni che intercorrono tra apparati statali, partiti e movimenti attivi nelle società: si evidenziano, piuttosto, rapporti sulle condotte di vita dei singoli, su vizi privati, sul temperamento e l’indole di questo o quel leader. E come se lo spazio del "privato" si andasse sovrapponendo, sino a esaurirne dimensioni e senso, allo spazio del "pubblico": le vicende intime di ciascuno possono divenire, per precisa volontà o per i casi del destino, il solo (o il principale) oggetto di dibattito, confronto e scontro sui media e in ogni altro ambito collettivo.
Se i casi Welby ed Englaro hanno rappresentato una forma cosciente e civica di "politicizzazione" della vita privata (della malattia e del dolore), la morte di Mario Monicelli è certamente vicenda altra. Quell’uomo era troppo intelligente per non sapere che il suo suicidio avrebbe fatto discutere; e, tuttavia, la sua scelta - sulla quale spendere considerazioni mi appare inopportuno - è quella di un signore molto anziano, padrone della propria intelligenza e della propria vita, che di queste vuole disporre sino all’ultimo senza chiedere permessi ad alcuno e senza voler impartire lezioni o suggerire alcunché. Per questo le polemiche scatenatesi attorno a quel gesto mi atterriscono e meritano una riflessione che vada oltre il loro significato manifesto. Il dover sempre incarnare il senso del confronto pubblico nell’esempio, positivo o nefasto, che viene dalle condotte individuali non è tanto conseguenza della fine delle ideologie, quanto della fine delle idee. Così, per discutere di eutanasia, si tenta di frugare la coscienza di un uomo di 95 anni che si misura con la morte. Ciechi e presuntuosi, senza pudore, senza misericordia.
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