
Una campagna presidenziale record costata più di due miliardi di dollari ha aperto una nuova era di sobrietà, risparmio, rientro dai debiti, risanamento delle condizioni finanziarie della classe media, cioè di ben oltre la metà della popolazione americana, e di nuova competitività del sistema Paese.
Questa la promessa fatta da Obama la sera del 6 novembre a Chicago di fronte a una grande sala che celebrava la vittoria. Solo crescendo infatti, e non certo con la sola austerità, gli Stati Uniti – in questo non dissimili dalla vecchia Europa – possono pensare di sistemare i conti nazionali e un debito totale, pubblico e privato, Stato e famiglie, che non è sceso molto rispetto ai picchi senza precedenti raggiunti nel 2007. Ha solo spostato parte del carico dal privato al pubblico.
Eravamo cinque anni fa al 380% del Pil circa, siamo al 350, e all'inizio della Grande Depressione degli anni 30 il dato indicava un rapporto del 250% circa. L'Italia, che ovviamente non è e non ha il credito internazionale degli Usa e la loro forza economica, ha un debito totale pari a circa il 250% del Pil.
Una delle chiavi per capire la vittoria di Obama, che si è giocata in misura determinante in vecchi Stati industriali del Midwest come Ohio, Michigan e Wisconsin, e in Pennsylvania, è l'enfasi che la sua campagna ha messo sull'importanza del manifatturiero.
Contemporaneamente, ha avuto successo la lunga campagna costata da sola oltre 100 milioni di dollari per tratteggiare in negativo il repubblicano Mitt Romney, protagonista del mondo del private equity, come esponente di una cultura che privilegia la rendita finanziaria sul lavoro, lo svuotamento delle imprese se questa è la via più certa ad ampi margini di utile, e lo spostamento del lavoro all'estero, se conviene.
Obama aveva già annunciato in campagna elettorale la creazione in Ohio di un istituto nazionale per il manifatturiero. L'Ohio, dopo drammatiche perdite di posti di lavoro nelle manifatture, è stato coinvolto insieme al Michigan nella ripresa del settore auto innescata dal salvataggio 2009 di General Motors e Chrysler grazie ai finanziamenti pubblici della Tarp, la legge per gli interventi su banche, industria e mutui, questi ultimi in realtà decisamente trascurati. E Obama ha ricordato che mezzo milione di posti nel manifatturiero sono stati creati negli ultimi due anni e mezzo.
Al cuore dei guai economici americani ci sono due dati: 37 anni di deficit crescenti nell'interscambio di manufatti, e una conseguente contrazione del manifatturiero nazionale ben sotto il 15% del Pil.
Chi viaggia in treno fra New York a Washington attraversa il fiume Delaware fra Trenton, New Jersey e Morrisville, Pennsylvania, e qui può leggere sul più vecchio dei ponti carrabili che attraversano il fiume in quella zona la grande scritta «Trenton makes, the world takes». Trenton fabbrica, il mondo compra. Oggi Trenton non fabbrica più molto, ma quell'orgoglio, con la scritta ripristinata nel 2005, è per l'America un'ancora di salvezza.
E non solo per l'America. Per quanto la concorrenza degli Stati Uniti riconvertiti, si spera, a una vocazione industriale, darebbe fastidio alla vecchia Europa, l'esempio e lo stimolo promettono di essere ben più utili. Tutto il "vecchio mondo", definizione che ormai comprende entrambe le sponde dell'Atlantico, non ha che da guadagnare dal ritorno a una cultura del manifatturiero, in molti Paesi europei peraltro meno compromessa che negli Usa, dove si fatica da 20 anni a trovare in un grande magazzino qualcosa made in the Usa, ma ugualmente sulla difensiva.
Adesso occorre vedere quali uomini Obama sceglierà per gestire l'economia e il cruciale rapporto fra industria e finanza. Non c'è dubbio infatti che la crisi del 2007-2008 è stata figlia di una iperfinanziarizzazione del sistema, tenacemente perseguita ad esempio da Bob Rubin, ministro del Tesoro di Bill Clinton e nume tutelare poi di tutta la squadra economica di Obama dopo la vittoria del 2008. Rubin era stato in molte negoziazioni commerciali importanti, con l'Asia soprattutto, il propugnatore di un progetto che vedeva cessioni all'Asia di sempre maggiori quote di manifatturiero in cambio di un ruolo privilegiato per Wall Street nella cogestione delle risorse finanziarie asiatiche. Allora Obama fu affrontato da un frustrato senatore democratico, Byron Dorgan del North Dakota, per anni voce quasi solitaria al Senato contro i rischi della troppa deregulation, di cui Rubin e Summers furono artefici massimi. «Hai scelto la gente sbagliata». Si tratta di vedere ora quale sarà la nuova squadra di Barack Obama.
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