
Walter Veltroni ha presentato una proposta di legge per imporre ai partiti di scegliere i candidati alle cariche "monocratiche", sindaco, presidente di provincia, di regione e del consiglio dei ministri, attraverso consultazioni primarie aperte a tutti gli elettori che dichiarino di votare per il partito che le indice. Le formazioni politiche che rifiutassero di uniformarsi a questa norma sarebbero punite col dimezzamento dei finanziamenti pubblici. L'idea in se è buona e il momento per discuterla è propizio, perché le maggiori formazioni politiche possono essere aiutate a definire un meccanismo di selezione delle candidature limpido ed efficace perché un'idea, sostenuta da un esponente di minoranza di un partito di opposizione, diventi legge, però, sono necessari accordi assai ampi che sarebbero favoriti da un'articolazione convincente della proposta, che invece allo stato attuale sono piuttosto carenti, anche sul piano tecnico. Veltroni propone che le primarie si tengano contemporaneamente per tutti i partiti, il che crea un evidente problema per le alleanze e le coalizioni elettorali. Le coalizioni, com'è noto dall'esperienza, si formano anche sul candidato, soprattutto ma non solo al livello locale. Le formazioni minori, per arrivare al secondo turno, hanno interesse a presentare già al primo un candidato comune, ma ovviamente è difficile presentare quello di un partito alle primarie di un altro. In sostanza, la rigidità della norma così com'è proposta può ottenere un effetto controproducente, impedire l'aggregazione di consensi sufficienti con l'effetto di trasformare quella che, se ben condotta, potrebbe essere una operazione politica unitaria di alto livello, in una pura declamazione propagandistica, che non è certo quel che desidera Veltroni.
© 2011 Il Foglio. Tutti i diritti riservati