
Ergastolo per gli assassini di Anna Politkovskaia: quasi otto anni dopo l’omicidio della giornalista il tribunale di Mosca mette la parola «fine» a uno dei processi più lunghi, tormentati e torbidi della storia della Russia putiniana. Il ceceno Lom-Ali Gaitukaev, legato a clan criminali del Caucaso, è stato riconosciuto colpevole di aver organizzato il delitto e il suo connazionale Rustam Makhmudov di aver sparato quattro colpi il 7 ottobre 2006. Entrambi non usciranno più dal carcere, mentre i due fratelli di Makhmudov che hanno pedinato la vittima sono stati condannati a 12 e 14 anni. Condanne pesantissime anche per Serghey Khadzhikurbanov e Dmitry Pavliuchenkov, due ex poliziotti: il primo sconterà 20 anni per aver mediato tra il mandante e i killer e il secondo ha patteggiato 11 anni dopo aver confessato di aver organizzato dietro pagamento il pedinamento di Anna.
Un verdetto che arriva dopo tre processi, di cui il primo si era concluso con l’assoluzione degli imputati e il secondo con la fuga uno dopo l’altro dei giurati. In mezzo c’era stato di tutto, prove falsificate, latitanze internazionali, testimoni e giurati che denunciavano minacce, insulti tra giudici e avvocati, e soprattutto tanti sospetti mai espressi. I condannati continuano a proclamarsi innocenti e denunciano i magistrati che avrebbero impedito la cattura dei «veri colpevoli». Ma soprattutto, mentre in aula è stata fatta una ricostruzione complessa e plausibile dell’omicidio, nessuno ha mai spiegato perché quattro ceceni in odore di mafia e due poliziotti corrotti si sono messi a progettare l’assassinio di una donna, colpita a bruciapelo mentre caricava in ascensore la spesa. I figli e i colleghi di Anna sembrano - anche grazie ai risultati dell’indagine parallela condotta dalla «Novaya Gazeta» per la quale Politkovskaia lavorava - convinti della colpevolezza di Gaitukaev e soci. «Restano tante domande sul mandante», dice il figlio della giornalista, Ilya.
La storica dissidente Liudmila Alexeeva ritiene che il caso «resti aperto»: «Nessuno dei condannati aveva motivo di uccidere, qualcuno li ha spinti, li ha pagati per sfogare il suo odio con le loro mani». Chi è questo qualcuno resta un mistero. Il motivo appare evidente: gli articoli della Politkovskaia con le denunce della violenza contro i civili nella seconda guerra cecena, delle torture e dei sequestri per mano delle truppe russe e delle bande del leader filorusso di Grozny, Ramzan Kadyrov. Con le sue testimonianze Anna era riuscita a portare diversi militari russi sul banco degli imputati e a far ottenere a molte famiglie cecene vittorie al tribunale europeo di Strasburgo. Ma se i suoi colleghi e amici ritengono che chi l’abbia uccisa con modalità da esecuzione mafiosa, proprio nel giorno del compleanno di Putin, volesse farla tacere e lanciare un segnale intimidatorio, esponenti della giustizia russa hanno fatto capire di sospettare una provocazione proprio dei nemici del presidente, un delitto clamoroso che avrebbe gettato ombra su un Cremlino già criticato per la repressione della libertà di stampa.
Il rappresentante del Comitato per le indagini Vladimir Markin ieri ha annunciato «procedure esaurienti» per identificare il mandante. In precedenza la giustizia russa aveva fatto capire di cercarne le tracce all’estero, sospettando il coinvolgimento di Boris Berezovsky, l’oligarca nemico di Putin legato alla guerriglia cecena della prim’ora. Che però si è tolto la vita nel suo esilio londinese un anno fa, in circostanze ancora oscure. Kadyrov continua a governare la Cecenia con pugno di ferro. E il mistero della morte di Anna Politkovskaia non è stato risolto.
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