
Domani è un altro giorno, si vedrà. I politici hanno mandato a memoria il refrain cantato da Ornella Vanoni. Lo hanno suonato anche al Senato in occasione del voto circa l'incompatibilità, sancita dalla Corte costituzionale, tra l'incarico di parlamentare e quello di sindaco in comuni con più di 20mila abitanti. La Corte ha detto che bisogna scegliere? Va bene, ma solo da domani. Per oggi vale l'esistente. Appellandosi a sottili sfumature giuridiche, il fronte pidiellino e leghista della giunta delle elezioni di Palazzo Madama (Pd e Idv sono usciti al momento del voto) ha deciso che al doppio incarico si deve rinunciare. Ma da domani, appunto. Ovvero, dalla prossima legislatura. A Montecitorio, invece, le parole della Consulta sono state immediatamente tradotte in realtà. I sei parlamentari-sindaci hanno dovuto scegliere. Gli ultimi tre lo hanno fatto la scorsa settimana. In cinque hanno deciso di tornare ai municipi, uno invece resta a Roma. E ora si apre la partita dei presidenti di provincia, a cui potrebbe applicarsi la medesima incompatibilità. Alla Camera, dunque, il domani è già oggi. Al Senato, invece, si preferisce aspettare. E continuare a fare il doppio lavoro.
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