
13/10/10
Il Foglio
Marco Pannella digiuna da giorni, con due moventi, molto diversi fra loro. Uno è la convinzione che lo stato della giustizia come si traduce nella condizione delle carceri non sia più civilmente e umanamente sopportabile. Ha ragione, naturalmente. Ieri è stato stancamente registrato da qualcuno, più pignolo, il cinquantaquattresimo suicidio dell'anno. Alla statistica finale manca ancora quasi un trimestre.
L'altra intenzione è di rivendicare una commissione che indaghi anche in Italia sul boicottaggio della prospettiva di sventare la guerra in Iraq inducendo Saddam e i suoi ad andarsene in esilio. Questione importante, si capisce, Strada facendo, Pannella ha dato sempre più per accertata l'adesione del dittatore iracheno alla proposta dell'esilio, ciò che accentua la responsabilità di chi, Bush e Blair in testa, la volle eludere per non rinunciare all'intervento militare.
Io, per quel che conta - niente, diciamo - sono molto più dubbioso. Senz'altro i militari e i neocon fautori della guerra e Bush erano ostinatamente decisi a farla e ad appigliarsi a ogni pretesto, come la campagna sulle armi di distruzione di massa, e Blair era a sua volta attirato dal desiderio di entrare nella partita per mostrarsi capace di moderare l'oltranzismo unilaterale americano e insieme raccogliere i frutti dell'impresa.
Ci furono probabilmente autorità, anche dentro la Lega araba, che videro davvero con favore - e non fecero solo finta di vedere - l'idea dell'esilio. E nel Parlamento italiano l'iniziativa radicale raccolse una moltitudine di adesioni, di cui è ragionevole pensare che fossero gratuite e per lo più simboliche, e pochissimo persuase della realizzabilità del proposito. Il dubbio principale riguarda la presunta disponibilità di Saddam.
Il quale non era affatto così lucido, per un verso, ed era troppo accecato e furbo, per l'altro, per non giocare ambiguamente anche quella carta allo scopo di legare le mani degli americani. Le grandiose manifestazioni pacifiste di allora, che dimenticavano troppo spesso di fondere il No all'intervento militare con la rivendicazione della cacciata di Saddam, contribuirono a rafforzare Saddam nella sua delirante sicumera.
I bluff si trattano andando a vedere: ma appunto, Bush e i suoi non ne avevano nessuna voglia, e avevano viceversa una gran voglia di menare le mani. E lavoravano per loro in molti, a partire da Gheddafi. Quanto a Berlusconi, la sua politica estera lo autorizzava allora e sempre a tutto e il contrario di tutto, alla condizione di poter vantare poi di essere stato l'autore di tutto e del contrario. Non so che cosa appurerebbe, oltre a questo che non è poco -- una indagine parlamentare italiana. Salvo che sia un modo per risollevare un problema grande e rimosso, come quello dell'alternativa a una decisione tremenda non solo, si è visto, per l'intervento militare, quanto per le sue conseguenze e la situazione che si lascia alle spalle. Bene.
Detto questo, ecco la mia ennesima postilla personale. Mi dispiace che Marco rifaccia un digiuno, che lo dichiari "a oltranza", che lo preveda il più lungo e duro della sua vita. Sono fatti suoi, mi obiettano. Non è vero. E infatti, se ritenessi necessaria la sua scelta, non saprei perdonarmi di non condividerla coi fatti. E ho un altro dubbio. Che, col passare del tempo, di un tempo ormai lungo, per i radicali lo sciopero della fame (e, sempre più facilmente, della sete, estrema fra le misure) sia diventato un mero sinonimo della formula "iniziativa nonviolenta". Che l'armamentario - la "panoplia disarmata" - della nonviolenza si sia progressivamente ridotto allo sciopero della fame, piuttosto che suggerire un ventaglio vario e fresco di linguaggi e modi di azione. Certo, tutto si consuma, e l'abitudine scava la roccia, e per giunta la nostra società inghiotte ogni cosa e ne restituisce la parodia: basta pensare all'obiezione di coscienza, diventata nei reparti ospedalieri di maternità una scelta buona a far carriera e molto spesso a giustificare perfino l'omissione di soccorso. Ma appunto.
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